Sandro Pintus
5 maggio 2024
Pascal Ochiba, 63 anni, ugandese, è un contrabbandiere di parti di animali. Nel gennaio 2022 è stato “beccato” con pezzi di avorio che pesavano 9,55 kg. Secondo la Wildlife Justice Commission la merce sequestrata valeva 350 euro/kg (dati 2020).
Per l’accusa Ochiba non faceva parte di un gruppo di criminalità organizzata ma la giudice, Gladys Kamasanyu, capo del Tribunale della fauna selvatica dell’Uganda ha emesso una sentenza pesantissima: ergastolo.
Ci viene da pensare che con questo tipo di piccolo contrabbando individuale avrebbe fatto campare la famiglia per diverso tempo. La giudice ha voluto una condanna esemplare: la pena massima prevista dalla legge ugandese.
Del caso ne ha scritto su Environmental Investigation Agency (EIA) Shamini Jayanathan, avvocata britannica e direttore di Arcturus Consultancy Ltd. Lo scopo del lungo commento era sottolineare la mancanza di coerenza nelle sentenze.
Secondo Jayanathan, “…senza principi guida che obblighino i tribunali ad applicare criteri oggettivi e ragionevoli, l’effetto deterrente di tali sentenze è limitato”. Questione che in Kenya hanno risolto. Infatti, la condanna a vita in un carcere ugandese per una decina di chili di avorio è una sentenza poco ragionevole
In Uganda però – e parliamo dello stesso sistema giuridico – c’è stato un altro caso: l’uccisione del gorilla Rafiki, (parola che vuol dire “amico”, in lingua swahili, ndr) uno dei più noti gorilla di montagna.
Un bracconiere, Felix Byamukama, ha confessato di aver ucciso una piccola antilope e un facocero. Attaccato dal gorilla, l’ha ucciso con la sua lancia per difendersi. Un tribunale ugandese, il 30 luglio 2020, lo ha condannato a 11 anni di prigione.
Ma Pascal Ochiba è stato fortunato. Blair Michael Ntambi, avvocato dello studio legale KTA Advocates di Kampala, ha offerto i suoi servizi gratuitamente. Ha scoperto che Gladys Kamasanyu, giudice del processo, è fondatrice dell’ong Help African Animals-Speak Out For Them (Aiuto agli animali africani-Parliamo per loro). Un chiaro conflitto di interessi.
Ntambi ha verificato che il suo cliente non era stato rappresentato bene al processo e che la sentenza stessa era manifestamente dura ed eccessiva. Ha quindi presentato appello che è stato accolto ed è stato discusso presso l’Alta Corte di Kampala il 13 marzo 2024. L’accusa aveva chiesto 15 anni ma dopo una trattativa la difesa ha ottenuto 6 anni e mezzo.
“Purtroppo non siamo riusciti a stabilire una giurisprudenza sulla questione della parzialità giudiziaria – ha dichiarato Ntambi dopo la sentenza -. Questo ci ha spinto a occuparci di questo caso pro bono. Rimaniamo impegnati a sostenere un solido quadro giuridico che disciplini il giusto processo in Uganda”.
Giustizia giusta è fatta. Pascal Ochiba e famiglia ringraziano.
Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
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