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I migranti perseguitati in Libia (di Cornelia I. Toelgyes)

I difensori dei diritti umani denunciano da anni alle istituzioni internazionali e ai governi le atrocità che si consumano in Libia nei confronti dei migranti sub sahariani. Accadeva durante l’era Gheddafi e a tutt’oggi non sembra essere cambiato nulla, anzi. Un chiaro esempio di come la Primavera Araba non sia stata altro che un timido raggio di sole in un gelido inverno che sembra non voler finire mai.

Pochi amano parlare di ciò che succede in Libia. Infatti la nostra ex colonia rappresenta un filtro prezioso per l’Italia, l’Unione Europea e, in generale, il mondo occidentale.

RESPINGIMENTI ITALIA–LIBIA

Il 3 aprile 2012 l’allora ministra agli Interni, Cancellieri, sottoscrive un documento con il suo omologo libico Al Taher Abdulali, in molti punti simile a quello siglato con il memorabile baciamano di Silvio Berlusconi a Geddafi durante la sua visita in Libia nel 2009. Un accordo condannato dal Tribunale per i Diritti Umani di Strasburgo nel febbraio 2012.

Nel febbraio del 2013 il ministro alla Difesa, Di Paolo, consegna al suo omologo libico generale Mal Barghatti, 20 Puma, velivoli da trasporto e combattimento.

Il 4 luglio 2013 un nuovo accordo viene siglato da Letta durante la sua visita in Libia.

E’ bene sottolineare che la Libia non ha mai firmato il trattato di Ginevra del 1951 sui diritti dei rifugiati, dunque è adatta a svolgere il ruolo di “spazzino” per il mondo occidentale.

L’emigrato sceglie,  il rifugiato non ha altra scelta. Nessuno lascia il proprio paese, le sue radici, gli affetti più cari senza una ragione. Il rifugiato non può fare altrimenti se vuole continuare a vivere, sognare un briciolo di libertà.

Difficilmente tra coloro che con fatica estrema, grande dispendio di denaro affrontando viaggi pericolosissimi attraverso altri paesi in guerra, troviamo migranti economici. Tutti scappano da situazioni terribili, persecuzioni di tutti generi, con la speranza di ritagliarsi un posticino, magari anche all’ombra di un mondo “migliore”.

Somali, etiopi, ma soprattutto eritrei sono i più esposti, una volta arrivati in Libia. Chi viene scovato, viene arrestato e mandato in centri di smistamento e poi in carceri terribili, soprattutto nel sud della Libia, al confine con il Sahara. Lì si consumano atrocità indescrivibili. Chi comanda all’interno sono le milizie armate rivoluzionarie, anche se le galere dipendono ufficialmente dal ministero degli Interni libico.

Spesso le giovani donne vengono separate dai loro compagni / mariti e stuprate. Se i loro uomini si ribellano, vengono picchiati – se va bene – altrimenti uccisi. Capita anche che giovani detenuti vengano mandati nel Sahara per togliere le mine anti-uomo, piazzate durante la rivoluzione. Naturalmente tutto ciò senza addestramento o preparazione alcuna.

CONVOGLIO MITRAGLIATO

Poche settimane fa un fatto gravissimo, accaduto vicino a Kufra , di cui solo don Zerai, sacerdote eritreo, da sempre in prima linea per la lotta dei diritti umani, ha parlato: la polizia libica ha sparato contro una piccola carovana composta da furgoni , fuoristrada ed un camion pieno di profughi che non si era fermato all’alt della polizia. E’ stata una strage : 8 morti e una ventina di feriti, di cui alcuni molto gravi.

Erano 130 persone, tra cui anche qualche donna e dei bambini. Per la maggior parte eritrei e somali. I sopravvissuti e i feriti meno gravi sono stati arrestati e gettati letteralmente in un campo di detenzione. Sogni infranti prima di nascere. E tutti si girano dall’altra parte.

Cornelia Isabel Toelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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