Il presidente USA Donald Trump, al suo arrivi in Arabia Saudita
Fabrizio Cassinelli
13 maggio 2025
Trump è arrivato stamani a Riad. Quelli prossimi saranno quindi giorni cruciali per il Medioriente, periodicamente sull’orlo di esplodere, ma con le sue linee rosse che alla fine si spostano ogni volta più in là. Stavolta probabilmente non sarà cosi. Il presidente USA, con la sua imprevedibilità (o faciloneria che dir si voglia) si trova al centro di un vortice di complesse situazioni che potrebbero davvero segnare svolte, negative o positive, nell’area.
E proprio stamattina Benyamin Netanyahu ha assicurato che l’esercito israeliano “nei prossimi giorni entrerà a Gaza con tutta la sua forza”. Il premier israeliano ha aggiunto di “non vedere uno scenario in cui possiamo fermare la guerra”.
Ma ciò che sembra stare più a cuore al presidente americano sono gli affari: Trump verrà accolto a Riad da cerimonie sfarzose per portare a casa un accordo economico da mille miliardi di dollari. Un obbiettivo non facilmente raggiungibile, secondo diversi analisti, vista la crisi di liquidità dei fondi sauditi, già impegnati in enormi progetti.
Ma contemporaneamente Trump si troverà al centro di una delicatissima doppia trattativa: la ripresa dei colloqui diretti con Hamas e l’isolamento voluto di Netanyahu le cui stragi a Gaza senza soluzione di continuità, rappresentano ormai un ostacolo per gli interessi di Washington, come chiaramente detto da Fox News.
Non si creda, quindi, che il problema sia il povero popolo palestinese massacrato e invaso: più che altro interessano gli enormi affari nella regione. Perché il business ha bisogno di stabilità. Questo chiedono ora al presidente le grandi multinazionali presenti ai business forum che si terrà in contemporanea al viaggio e al quale dovrebbero partecipare molti dei CEO più potenti d’America.
Sul tavolo ci sono interessi inimmaginabili nei settori armamenti, tecnologia, intelligenza artificiale ed energia, che poi significa nucleare e petrolio.
Ecco che quindi quello che sembrava impossibile mesi fa – una trattativa diretta tra USA e Hamas – è tornata reale, e segna, va detto chiaramente, la più grande vittoria di Hamas dall’orrore del 7 ottobre.
Allo stremo militarmente, l’ala militare del partito palestinese potrebbe ora tornare legittimata dalle trattive e influire pesantemente e nuovamente su qualunque nuova Gaza ci sarà.
Non va dimenticato che la Striscia è un cumulo di macerie e basta confrontare le foto di qualche anno fa per capire che enorme business immobiliare rappresenti la sua ricostruzione. E quanto gli interessi immobiliari spicchino in questo scenario lo si comprende dai numerosi affari megamiliardari in corso (oltre alle grottesche affermazioni di Trump su Gaza-Resort che non erano per nulla una fantasia).
Eric Trump, il figlio del presidente statunitense e vicepresidente della Trump Organization, ha presentato un campo da golf e un resort di lusso in Qatar. Sono stati annunciati investimenti immobiliari a Dubai, in Arabia Saudita, in Albania, in Oman.
Due Trump Tower sono in costruzione in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi. Una potrebbe nascere perfino a Damasco. Il nucleare saudita sarà quello USA. Il programma da 300 miliardi di dollari di armamenti prosegue. Arrivano catene commerciali a stelle e strisce, autostrade, ingegneri.
Tutto questo renderà l’Arabia Saudita il nuovo alfiere degli USA nel Medioriente, come avvenne per la Persia dello Shah, l’Iraq di Saddam, l’Afghanistan di Karzai e Ghani, e ora della Siria di Jalani. Come è finita per quei Paesi già lo sappiamo, ma è chiaro che in ballo, tra Iran, Arabia Saudita e Israele è l’egemonia geopolitica sulla regione, dalla quale gli Usa hanno iniziato un ritiro strategico che non ammette ripensamenti.
Basti pensare che dopo aver bombardato a tappeto gli houti per settimane, sempre nel quadro della protezione di Israele, ad un certo punto hanno annunciato unilateralmente la resa dei ‘ribelli’. Gli houti governano gran parte dello Yemen e sono una spina nel fianco per la navigazione nel Mar Rosso. Poche ore dopo i ribelli hanno però smentito la dichiarazione di Washington, dicendo che avrebbero perseguito nei lanci missilistici. Un esempio del frettoloso desiderio di sganciamento americano e un fragoroso nulla di fatto.
La Cina, al contrario, ha segnato un punto strategico gigantesco normalizzando i rapporti tra Arabia Saudita e Iran nel 2023. Forse solo un nuovo accordo sul nucleare tra Iran e USA potrebbe equilibrare i successi, ma c’è la strenua opposizione di Israele, l’unica potenza nucleare da quelle parti e che tale vuole rimanere.
Ed ecco quindi che soldi e potere hanno reso possibile questa ipotesi: Washington e Hamas in trattativa diretta per un cessate il fuoco di 70 giorni estendibili a 90. Secondo la rete televisiva israeliana Channel 12 Hamas “è pronta a un accordo finale per la cessazione della guerra e uno scambio di prigionieri concordato, nonché alla gestione della Striscia di Gaza da parte di un ente professionale indipendente”.
Uno schiaffo a Netanyahu. Che però potrebbe tentare di distrarre l’attenzione attaccando l’Iran o scatenando l’inferno sulla Striscia prima che parta il negoziato. E in parte lo ha già fatto. Ha infatti dovuto far buon viso a cattivo gioco durante la liberazione (senza il coinvolgimento di Israele) dell’ostaggio israelo-americano Idan Alexander, accolto “con grande emozione”.
Ma dopo la consegna dell’uomo alla Croce Rossa a Khan Jounis, è seguito un raid israeliano proprio su Khan Jounis. Netanyahu – quasi scompostamente – ha ribadito che i negoziati per un possibile accordo che garantisca il rilascio di tutti gli ostaggi a Gaza saranno condotti “sotto il fuoco nemico”. Inevitabile che il capo del Pentagono, Pete Hegseth, abbia cancellato la visita in Israele prevista per oggi, per “unirsi a Trump nel viaggio nel Golfo”.
Se farà scuola ciò che è accaduto con il disimpegno USA dallo Yemen, con l’immediato ‘intervento sostitutivo’ di Israele, che ha bombardato l’aeroporto della capitale, si teme che lo stesso possa accadere nel Golfo. Se Washington taglierà fuori Israele da Gaza e dall’accordo sul nucleare, il governo Netanyahu si sentirà libero di intraprendere azioni unilaterali? Come bombardare le centrali iraniane? Otterrebbe così di sparigliare le carte e incendiare lo scenario.
La risposta dei Pasdaran infatti colpirebbe come annunciato impianti petroliferi e basi militari USA nel Golfo. Uno scenario apocalittico, che scriverebbe probabilmente la parola fine al miliardo di investimenti trumpiani. Potrebbe Netanyahu osare tanto?
Potrebbe, dato che cerca una disperata risposta ai sondaggi che lo edono al punto più basso degli ultimi 16 anni. Con un processo in corso e una pace a Gaza, probabilmente la sua posizione affonderebbe. Non e un caso che abbia appena deciso di mobilitare con urgenza migliaia di riservisti e ha che abbia dato indicazioni allo Stato maggiore di prepararsi a un’incursione ancora più massiccia a Gaza. “Sconfiggere Hamas è più importante della liberazione dei rapiti”. Ma forse per la prima volta il Re è nudo, o rischia di trovarsi presto senza buona parte degli abiti.
Fabrizio Cassinelli
cassinelli.fabrizio@gmail.com
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