Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
15 ottobre 2020
Secondo il CJI si chiamano Bonomado Machude Omar, alias Ibn Omar, Abdala Likonga, alias Alberto Shaki, e André Idrissa. Sono il vertice locale dei tagliagole jihadisti che, dall’ottobre 2017, stanno massacrando Cabo Delgado, la provincia più settentrionale e più povera del Mozambico.
Lo svela un’indagine del Centro de Jornalismo Investigativo del Mozambico (CJI Moz). Secondo Joseph Hanlon, esperto di Africa Australe e docente alla Open University (Regno Unito) le indagini sono molto importanti per comprendere le radici del terrorismo. Un terrorismo che fino ad oggi, a Cabo Delgado, ha causato almeno 2.000 morti e 300 mila profughi.
L’investigazione amplia lo studio sull’estremismo islamico in Mozambico di João Pereira e Salvador Forquilha, dell’Università E. Mondlane di Maputo, con il leader religioso islamico Saide Habibe. Un’indagine, voluta dal presidente mozambicano Filipe Nyusi, che per la prima volta nomina il gruppo jihadista: Ahlu Sunnah Wa-Jammá.
Il CJI ha identificato Ibn Omar come autore di un video del marzo 2018, diventato virale. Da quella registrazione è considerato come un leader jihadista del gruppo, chiamato dalla popolazione al-Shebab, gioventù in arabo, nome usato dai militanti islamici somali.
Ibn Omar ha molti amici, secondo le fonti CJI. Primi tra tutti le Forze di difesa e sicurezza mozambicane (FDS), le stesse che combattono i jihadisti a Cabo Delgado. Poi ci sono parte dei cittadini dei distretti colpiti dall’insurrezione jihadista, nei distretti di Pemba. Ma anche nelle province del Niassa, a ovest di Cabo Delgado e della capitale Maputo. C’è chi dice che l’appoggio verso l’insurrezione si estenda anche in altre province.
“Quando l’esercito mozambicano entra o esce da un distretto, Ibn Omar viene informato dalla sua rete di fonti sparse in tutta la provincia. In sintesi, ha sia militari che civili che gli danno informazioni sui movimenti delle Forze armate di difesa”, si legge.
“Qualcuno della catena logistica è coinvolto in questa macabra impresa e contribuisce fornendo uniformi militari all’insurrezione – ha raccontato la fonte CJI. Questo è un business che coinvolge tante situazioni”.
Durante la seconda presidenza di Armando Guebuza (2009-2014), quando l’attuale presidente, Filipe Nyusi, era ministro della Difesa, sono sparite 200 armi un numero indefinito di uniformi. Le aveva acquistate il figlio di Guebuza, Mussumbuluko, si legge nell’indagine. Nessuno sa dove siano andate a finire. Oggi Mussumbuluko è in prigione in attesa del processo. Ma non per le armi bensì per uno scandalo da 1,9 miliardi di euro che ha scoperchiato il pentolone della corruzione ad altissimi livelli politici.
“Dal 2007 somali, senegalesi, tanzaniani e altri sono entrati in Mozambico. Alcuni di loro sono jihadisti venuti per spiare la fragilità dello Stato mozambicano rimanendo ‘dormienti’. Ma anche capire la possibilità di condurre attacchi nel nord del Paese, dove la maggioranza della popolazione è musulmana”, scrive CJI.
Alcuni di loro sono diventati commercianti e si sono mischiati con la popolazione. Finanziano l’insurrezione attraverso le loro attività commerciali come negozi, aziende, distributori di benzina. Un lavoro lento e paziente che il governo mozambicano non è stato in grado di scoprire. O, forse, non ha voluto vedere.
(1/4 – continua)
Sandro Pintus
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