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Sud Sudan: catastrofe umanitaria alle porte: finiti i soldi finisce l’aiuto ai rifugiati

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Juba, 17 settembre 2014

Non si combatte più in Sud Sudan, ma la tregua è precaria. Le gente ha paura che la violenza possa scoppiare da un momento all’altro. Allora contro i nuer, l’etnia minoritaria nella capitale sud sudanese, si scatenerebbe la furia dei dinka.

Dallo scoppio della guerra civile, il 15 dicembre dell’anno scorso, più di un milione e settecento mila persone hanno dovuto abbandonare le loro case. Un milione e duecentomila si sono riversati nei campi dei rifugiati all’interno del Paese, mentre 500 mila sono scappati oltre i confini, in Uganda e in Etiopia.

Le condizioni di questa gente sono drammatiche. Non vogliono tornare a casa perché conoscono le condizioni precarie della situazione bellica e ora hanno bisogno di tutto: cibo, acqua pulita, assistenza sanitaria, un tetto e protezione fisica. Quest’ultima è garantita dalle truppe del contingente dell’Onu, che talvolta però devono cedere alle pressioni delle forze dell’ordine locali.

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“Ieri mattina – racconta uno dei rifugiati nel campo PoC (Protection of Civilian) 3 – E’ arrivata la polizia governativa e ha portato via un uomo che è sparito. Non sappiamo perché sia stato arrestato, né dove l’hanno portato. Viviamo nella paura e nel terrore che vengano a prelevarci uno per uno”.

Nella “guerra del Sud Sudan” in palio c’è il petrolio. I pozzi sono situati nel nord del Paese, al confine con il Sudan. Con una mossa inaspettata l’anno scorso, in luglio, il presidente dinka, Salva Kiir Mayardit, ha licenziato il vicepresidente nuer, Riek Machar Tendai. Il 15 dicembre ha denunciato i sostenitori del suo avversario di aver ordito un colpo di Stato e, con questa scusa, ha tentato di metterli in prigione. La reazione non si è fatta attendere i nuer hanno reagito ed è cominciata la mattanza.

Nei giorni successivi migliaia di nuer per cercare protezione si sono riversati nelle basi dove sono ospitati i militari del contingente UNMISS (United Nations Mission in South Sudan). Non solo a Juba, ma anche a Bentiu, Bor, Malakal e nelle città più piccole. Un gran numero di nuer è stato massacrato. La vendetta/risposta sui dinka non si è fatta attendere. I morti, molti dei quali uccisi a sangue freddo, sono stati migliaia da entrambe le parti e la guerra, come sempre in Africa, si è trasformata in conflitto tribale, anche se le vere motivazioni restano economiche per il controllo dei pozzi.

Che la situazione sia drammatica lo dimostra il fatto che a Juba è arrivato in visita il direttore delle operazioni della Commissione per l’aiuto umanitario e la protezione dei civili dell’Unione Europea, Jean-Louis de Brouwer: “La situazione è drammatica – ha sottolineato in una conversazione coi i giornalisti -. Non ci sono più soldi per aiutare i rifugiati e gli sfollati. Occorre che i donatori facciano la loro parte per evitare la più grande catastrofe umanitaria della storia”.

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De Brouwer ha poi snocciolato i numeri della crisi: “Sette milioni di persone son a rischio fame, e 3,9 sono già in gravi condizioni di sicurezza alimentare. L’Unione Europea – ha poi aggiunto – condanna l’assassinio degli operatori alimentari e ricorda agli attori di questa guerra gli obblighi imposti dalla legge internazionale”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

Nel video in alto  Massimo Alberizzi ieri in un campo di sfollasti a Juba, in basso il direttore delle operazioni della Commissione per l’Aiuto umanitario e la protezione dei civili dell’Unione Europea, Jean-Louis de Brouwer, durante il colloquio con i giornalisti sud sudanesi

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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