Alessandra Fava
4 settembre 2024
Per far cadere il governo Netanyhau basta che si dimettano una trentina di parlamentari dell’opposizione nella Knesset. Lo scrive il quotidiano Haaretz in un commento in cui si legge anche che “le uniche forme di opposizione recenti sono state le manifestazioni di massa contro le riforme costituzionali e questo giornale” e che l’opposizione in Parlamento è debole e frammentata.
Dopo il ritrovamento di altri sei ostaggi morti, infuriano le polemiche e le manifestazioni in diverse città israeliane hanno ormai scadenza quotidiana e durano ore e ore. Secondo il governo, gli ultimi sei ostaggi, tra cui un cittadino statunitense, sono stati uccisi da Hamas, mentre Hamas dice che è stato l’esercito israeliano a farli fuori nell’ennesima incursione a Gaza. L’Onu chiede un’indagine indipendente.
Intanto Netanyhau ha indetto una conferenza stampa lunedì per dire che è dispiaciuto della morte degli ultimi ostaggi, ma che il suo piano sul corridoio Philadelphi va avanti e che la liberazione degli ostaggi fa rima con lo sdradicamento di Hamas: le stesse parole dal 7 ottobre, con bare di ostaggi che continuano a tornare nel Paese. Il governo insomma non ha intenzione di cambiare idea sull’occupazione permanente del confine tra Egitto e Gaza. Il premier dice che solo così si tagliano le forniture ad Hamas, celando le risorse e i milioni transitati per Israele negli anni direzione Gaza.
La questione delle trattative interrotte o inceppate inquieta parecchi governi. Anche il ministro degli esteri britannico David Lammy col suo governo ha deciso di sospendere 30 delle 350 licenze di esportazione di armi verso Israele per il fatto che possono essere usate per violazione del diritto internazionale.
Critiche piovono anche dagli americani, che continuano a finanziare uno Stato che non ha più i soldi neppure per pagare il contratto agli insegnanti delle scuole (è stato proposto al ministro dell’Istruzione un pagamento rateizzato fino al 2027 invece del contratto annuale firmato coi sindacati degli insegnanti a settembre 2023, prima dell’attentato).
Per la Francia, uno dei primi esportatori di armi al mondo, il quotidiano online Mediapart ha avuto accesso e pubblica un rapporto del Ministero della Difesa al Parlamento sulla vendita di armi del governo Macron nel 2023 dal quale si deduce che a Israele la Francia ha venduto armi per 30 milioni di euro. Il giornale non è riuscito ad sapere dal Ministero della Difesa se la vendita è avvenuta prima o dopo il 7 ottobre, particolare non secondario, visto che le armi vendute dovrebbero essere solo strumento di difesa.
A Gaza la situazione è oltre ogni limite: secondo l’ultimo report delle Nazioni Unite, sono stati evacuati e spostati di qui e di là il 90 per cento dei gazawi e alcuni di loro diverse volte. Solo ad agosto l’esercito israeliano ha dato 12 ordini di evacuazione, in media uno ogni due giorni, forzando 250 mila persone a muoversi per l’ennesima volta. Ogni spostamento include portare meno cose possibile e trovarsi in un’area sovraffollata, senza acqua e senza medicine.
A Deir al Balah l’acqua potabile rimasta è il 30 per cento rispetto all’inizio della guerra, gli impianti di desalinizzazione e l’acquedotto sono in tilt. Epatite A, polio e infezioni sono relative anche alla mancanza di cloro per ripulire l’acqua. In questo quadro le vaccinazioni in corso in una parte della Striscia contro la polio dei bambini diventano quasi una beffa.
Intanto le famiglie degli ostaggi (101 rimasti vivi) continuano le proteste. L’ultima contestazione riguarda un evento organizzato dal governo per il 7 ottobre. Un centinaio di ex-ostaggi e familiari hanno scritto al ministro dei trasporti Miri Regev che sta organizzando la cerimonia a Ofakim nel sud del Paese, che i nomi dei loro cari e le loro foto non possono essere utilizzati: “siamo contrari all’uso cinico dei nomi degli ostaggi che lo Stato ha abbandonato per quasi un anno”.
Regev ha risposto che la cerimonia avrà luogo e si prevede che siano proiettati film sull’assalto di Hamas. In un editoriale su Haaretz, Gideon Levy scrive che Israele “è la nazione delle cerimonie” e che c’è una disputa in corso su quali cantanti andranno di qua o di là. “Era parecchio tempo che non si discuteva con toni così accessi – rimarca Levy – Per di più l’argomento è una cerimonia per una guerra che non è ancora finita. Inoltre il 7 ottobre non ha bisogno di essere ricordato, è presente ogni momento col pensiero agli ostaggi morti e vivi”.
Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
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