Franco Nofori
17 giugno 2019
L’ennesimo attentato contro le forze di polizia keniane, ad opera delle milizie di al-Shebab, si è verificato sabato scorso nel distretto di Wajir, nei pressi del confine con la Somalia. Un ordigno esplosivo è deflagrato al passaggio di un mezzo che trasportava tredici agenti, dieci dei quali sono morti sul colpo mentre gli altri hanno riportato gravi ferite la cui prognosi non è ancora stata sciolta. L’attentato è stato immediatamente rivendicato dall’ormai tristemente noto gruppo terroristico con i soliti toni trionfalistici e ancora una volta il Kenya si trova a piangere la perdita di vite umane, conseguenti al suo intervento militare in Somalia nell’inconcludente tentativo di sconfiggere gli shebab.
Solo il giorno prima, nel sub-distretto di Wajir Est, un gruppo di terroristi aveva fatto irruzione nel villaggio di Konton, sequestrando tre agenti riservisti. I tredici uomini, vittime dell’attentato, erano appunto stati inviati per individuare gli esecutori del sequestro. Purtroppo la sorte ha deciso di trasformarli da cacciatori in prede, riconfermando che l’avversario, oltre che spietato e feroce, è anche straordinariamente abile e la scarsa capacità strategica mostrata dal Kenya per contrastarlo, continua a rivelarsi perdente.
Quale prezzo in vite umane il Kenya è ancora disposto a pagare per continuare nel suo fallimentare intento di sconfiggere un nemico che si mostra ogni volta superiore in termini di efficienza e di strategia? Gli attacchi al centro commerciale Westgate di Nairobi, quello successivo al complesso Dusit2, la terrificante strage compiuta al college dell’università di Garissa, dove furono barbaramente uccise centocinquanta persone – in prevalenza giovani studenti – e le molte altre incursioni che hanno prodotto vittime tra gente comune e poliziotti, dovrebbero definitivamente convincere il Kenya ad abbandonare la partita del suo intervento in Somalia, perché non ha né la capacità né i mezzi per affrontare un così feroce e preparato avversario.
Franco Nofori
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