La dolorosa reazione di gay e lesbiche alla pronuncia della sentenza
Franco Nofori
26 maggio 2019
Chi conosce l’Africa, sa che è una splendida terra ma piena di contrasti e contraddizioni che sfiorano spesso il paradosso. Nel marzo scorso la Corte d’Appello di Nairobi aveva emesso una sentenza che, rigettando l’istanza avanzata dal coordinamento centrale delle NGO nazionali, riconosceva il diritto di gay, lesbiche e transessuali a costituirsi in associazioni iscritte presso il registro nazionale. Considerati i forti sentimenti omofobi presenti nel Paese, si trattava indubbiamente di una sentenza destinata a fare storia e ad aprire, negli appartenenti al gruppo LGBTQIA (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali, Queer, Intersessuali, Asessuali) uno spiraglio di speranza verso la legittimazione dei propri orientamenti sessuali.
Questa speranza è stata però bruscamente affossata da una nuova pronuncia giudiziaria che fa apparire la precedente come una sorte di cinica beffa. L’Alta Corte del Kenya ha respinto l’istanza presentata, da Eric Gitari, attivista keniano dei diritti della LGBTQIA, di depenalizzare i reati previsti dagli articoli 162 e 165 del vigente codice penale, che prevedono fino a quattordici anni di carcere per chi pratica“carnal knowledge against the order of nature”, cioè: conoscenza carnale contro natura.
Enunciazione dal vago sapore biblico che è comunemente intesa come rapporto anale tra uomini. Questa sentenza, come i giudici hanno dichiarato, si fonda sul comma 2 dell’articolo 45 della Costituzione, fondamento che appare alquanto forzato, poiché il comma citato non fa alcun cenno alla tipologia di atti sessuali, ma si limita solo a riconoscere come unico matrimonio legittimo quella tra uomo e donna.
Impossibile non chiedersi che senso ha consentire ai gay di associarsi – riconoscendo così implicitamente le loro tendenze sessuali – per poi criminalizzarli quando le praticano. Inoltre, salvo che tali manifestazioni avvengano in pubblico, come sarà possibile per le forze di polizia accertare che tali rapporti abbiano avuto luogo, giacché l’ispezione anale, un tempo ritenuta legittima, è stata proibita da una sentenza dell’Alta Corte di Mombasa fin dal marzo dello scorso anno? Il tema dell’omosessualità resta un tema molto controverso, che trova granitici elementi di avversione soprattutto nelle religioni cristiane e islamiche. Il termine “sodomia”, deriva, infatti, dalle pratiche “contro natura”, così definite dalla Bibbia, che erano praticate nella città di Sodoma, la quale – sempre secondo il testo biblico – fu totalmente distrutta insieme alle altre città “peccatrici” di Gomorra, Zeboim, Adma e Zoar, in occasione del Diluvio Universale.
Ma più ancora delle enunciazioni bibliche, ciò che fornisce un formidabile sostegno alle motivazioni dell’Alta Corte, che ha mantenuto intonsa la criminalizzazione dell’atto omosessuale, è la generale avversione del pubblico verso le pratiche in questione. Avversione che non si riferisce solo al Kenya, ma è estesa a macchia d’olio in tutto il continente africano, nei Paesi arabi e in alcuni di quelli asiatici di fede islamica. Nel pronunciare la sentenza, il presidente della Corte, Roselyne Aburili, ha detto che “non esistono prove assolutamente certe che i membri della LGBTQIA siano nati con le caratteristiche sessuali da loro dichiarate”. In altre parole, ciò significa che, nell’opinione del collegio giudicante, non si tratta di equilibri cromosomici, ma di semplici e viziose aberrazioni sessuali.
Franco Nofori
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