Rischia di morire in carcere Roberto Berardi vittima della dittatura in Guinea Equatoriale

Massimo A. Alberizzi
3 luglio 2014
Rischia di morire, per complicazioni polmonari, l’imprenditore italiano Roberto Berardi, ancora in carcere in Guinea Equatoriale, accusato di aver sottratto del denaro dalla società che aveva fondato con Teodorino Obiang Nguema Mangue, il figlio prediletto del dittatore Teodoro Obiang Nguema Mbasogo. Più volte il padre padrone dell’ex colonia spagnola aveva promesso “lo libero”. Ovviamente non ha mantenuto l’impegno preso, l’ultima volta, così riferiscono fonti vicine al Vaticano, con Papa Francesco.

Ora Roberto Berardi è in condizioni fisiche e psicologiche penose. In cella di isolamento, senza medicine, con cibo schifoso e scarso e acqua da bere putrida. Poche ore fa agenti di polizia sono entrati nella cella e gli hanno portato via i medicinali che erano stati fatti entrare clandestinamente in prigione. Trattato peggio di un animale. Insomma, di fatto, viene torturato in continuazione.

Sorprende che il Papa scomunichi gli uomini della n’drangheta e non gli venga in mente di prendere un provvedimento analogo per chi è responsabile dell’omicidio di centinaia di persone e della repressione feroce contro migliaia di vittime. Se Bergoglio, che ha ricevuto in visita di cortesia Teodoro Obiang padre a Roma nell’aprile scorso per le celebrazioni per la canonizzazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, telefonasse al dittatore equatoguineano e gli dicesse: “Amico mio o liberi Berardi oppure ti scomunico”, forse Berardi tornerebbe subito a casa.

Alla corte del Papa sanno come trattare queste questioni e sanno come impostare un colloquio di questi genere. Per onestà intellettuale e per non creare aspettative poco credibili, devo aggiungere che attendersi una mossa di questo tipo dal Vaticano è piuttosto inverosimile per diversi motivi. Uno fra tutti, il timore che il despota scarichi la sua collera con i preti, con il vescovo e con il nunzio apostolico, cioè l’ambasciatore della Santa Sede in loco.

I dittatori, si sa, fanno promesse che poi non mantengono. Di solito arrivano al potere promettendo democrazia e lotta alla corruzione. Irrimediabilmente mostrano la loro natura di satrapi violenti e la loro propensione ad acquisire montagne di denaro alla faccia dei loro sudditi, confondendo, con gran cupidigia, le casse dello Stato con il loro portafoglio.

Anche Human Rights Watch si sta occupando dell’eclatante caso di Roberto Berardi. Secondo l’organizzazione di difesa dei diritti umani, lo scopo della famiglia presidenziale è quello di impedire all’ex socio italiano di divulgare notizie sensibili relative al saccheggio delle casse dello stato da parte della famiglia Obiang.

HRW attacca duramente il dittatore Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, il più feroce di tutta l’Africa, assieme al suo compare eritreo, Isayas Afeworki, colpevole, tra l’altro, di aver lasciato l’italiano senza medicine in carcere.

Roberto Berardi è stato sbattuto nelle galere di Bata nel gennaio dell’anno scorso e ora è gravemente malato. Un rapporto medico del 30 giugno scorso spiega che ha contratto un enfisema polmonare e ha bisogno di farmaci ad hoc ma la direzione del carcere ha rifiutato alla famiglia di fargliele arrivare. “La Guinea Equatoriale è un feudo della famiglia Obiang e chi sa troppo dei suoi sporchi affari rischia il carcere o addirittura la morte”, ha spiegato alla stampa Lisa Misol ricercatrice per Human Right Watch, aggiungendo: “Siamo preoccupati per la salute del prigioniero che deve essere liberato immediatamente per essere sottoposto a cure mediche”.

Berardi è finito in carcere subito dopo aver chiesto al suo allora socio in affari Teodorino, spiegazioni su un trasferimento di sospetto di denaro della Eloba, la società edile che i due avevano assieme, negli Stati Uniti. Quel denaro, servito per comprare alcuni cimeli di Michel Jackson, tra cui un guanto tempestato di diamanti che era appartenuto al cantante, secondo i giudici americani è la prova che Teodorino ricicla denaro proveniente da giri di corruzione.

Teodorino è accusato di pratiche sporche anche dai magistrati francesi che gli hanno sequestrato un semplice pied a terre (un palazzo di sei piani nella prestigiosissima Avenue Foche e una decina di automobili di lusso.

L’accusa rivolta a Teodorino è stata ribaltata contro Berardi, accusato di aver sottratto del denaro dalla società comune. Nel processo farsa non sono state portate prove, ma alla giustizia della dittatura basta eseguire gli ordini dei despoti e così Berardi è finito il galera, condannato a oltre due anni di reclusione.

La grazia per Berardi è stata chiesta da più parti, promessa dal tiranno, ma mai concessa e sono in pochi a credere che lo sarà mai, se non in seguito a fortissime pressioni. Se per esempio scendesse in campo Claudio Descalzi, da poco amministratore delegato di Eni, le cose potrebbero prendere un corso un po’ diverso. Descalzi conosce Teodoro Obiang e ha discusso con lui di concessioni minerarie/petrolifere. E poi sa come trattare con i tiranni. E’ stato in Congo-B (sua moglie viene da lì) e Nigeria, solo per citare due Paesi dove la corruzione è di casa e si mangia con il pane.

Visto che la politica è succube dei satrapi del petrolio come Teodoro Obiang e quindi si muove con cautela e circospezione, c’è solo da sperare in un colpo di Stato, sempre possibile da quelle parti. Oppure in un concreto intervento del Papa, come la scomunica giacché come ai tempi di Carlo Magno, i dittatori si fanno benedire e quindi legittimare da potere religioso. La famiglia di Berardi si attende da mesi un gesto di questo tipo.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

 

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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