Braccio di ferro tra ENI e governo del Togo che vuole togliere agli italiani le concessioni

Massimo A. Alberizzi
11 marzo 2012
Il Togo minaccia di cacciare l’ENI dal Paese e di assegnare le concessioni che sono degli italiani a una società americana. Nel 2010 la multinazionale di Metanopoli ha ottenuto dal governo dell’ex colonia francese alcune concessioni petrolifere off shore. Ora dopo aver perforato quattro pozzi, che hanno dimostrato un’ottima resa, superiore al previsto, i togolesi hanno chiesto una rinegoziazione delle condizioni contrattuali, ovviamente per ottenere maggiori vantaggi.

La società italiana si è rifiutata, facendo riferimento a quella parte degli accordi che esplicitamente nega la possibilità di rinegoziazione, anche nel caso che le prospezioni petrolifere mostrino capacità e caratteristiche qualitative superiori a quelle previste.

Il governo togolese, nella persona del ministro del petrolio,  Damipi Noupokou, che prende ordine dal corrotto satrapo del Paese, il presidente Faure Gnassingbe, ha minacciato di cacciare la società di Metanopoli. L’ENI dal canto suo ha risposto sventolando un possibile ricorso al tribunale internazionale che dirime le controversie di questo genere.

Per intimidire gli italiani, e indurli ad accettare una rinegoziazione delle condizioni dei blocchi Oti1 e Kara, dove i quattro pozzi hanno dato ottimi risultati, i togolesi hanno  intavolato trattative con la società americana “Brenham Oil and Gas”, il cui presidente, Daniel Dror , ha già avuto dei colloqui preliminari con i funzionari del ministero del Petrolio locale. Secondo la rivista Africa Intelligence, oltre alle sue attività in Texas, Brenham ha acquisito una partecipazione del 15 per cento nel blocco Y in Guinea Equatoriale.

Per spiegare di chi si sta parlando, Faure Gnassingbe, è il figlio di Eyadéma Gnassingbé, l’uomo che, dopo tre anni dall’indipendenza del Togo, prese parte a un sanguinoso primo colpo di Stato. Successivamente, sempre il 13 gennaio ma del 1967, Eyadéma prese il potere con un secondo colpo di Stato. Mantenne la presidenza fino al giorno della sua morte, il 5 febbraio 2005, giorno della sua morte dopo 38 anni di potere assoluto.  Secondo, in Africa, solo all’altro dittatore longevo, il gabonese Omar Bongo rimasto al potere per 41 anni.

L’immediata nomina da parte dei militati di Faure per succedere al vecchio leader provocò la condanna internazionale. Solo la Francia, tra i Paesi occidentali, restò in silenzio, segno che era d’accordo con il nuovo corso, e alcuni leader africani saliti al potere con elezioni più o meno libere, come il senegalese  Abdoullaye Wade e il Nigeriano Olusegun Obasanjo sostennero il poco democratico cambio di presidenza.

Massimo A. Alberizzi
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Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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