ERITREA

Eritrea 18 settembre 2001: inizio della feroce dittatura di Isaias Aferworki

Africa ExPress
18 settembre 2025

Molti giovani e giovanissimi che oggi fuggono sempre più numerosi dal regime di Isaias Aferworki non erano ancora nati il 18 settembre 2001, una data che però è e resterà impressa per sempre in tutti gli eritrei.

Tale giorno segna l’inizio della dittatura, la fine della democrazia nella ex colonia italiana. Isaias, combattente per la libertà nella guerra di liberazione, ha trasformato il Paese in un regime infernale.

Arrestati dissidenti

All’alba de 18 settembre 2001, le forze di sicurezza del presidente-dittatore hanno fatto irruzione con blitz simultanei nelle abitazioni di 11 dissidenti, quasi tutti sorpresi nel sonno.

Tutti dirigenti FPLE

Non erano persone qualsiasi. Erano tutti ministri, ex ministri, veterani della rivoluzione, ex compagni di lotta dell’attuale presidente, al potere da oltre 30 anni. La loro colpa? In una lettera aperta, pubblicata nel marzo 2001, un gruppo di alti funzionari governativi, poi noto come G-15, aveva accusato Isaias Aferworki di abusare dei propri poteri e di diventare sempre più autocratico. Avevano chiesto l’attuazione della Costituzione e libere elezioni.

Nessun processo equo

Gli 11 sono stati messi tutti a tacere. Sbattuti in putride galere, senza capi d’accusa formali e nessuno di loro ha mai goduto di un diritto fondamentale: un equo processo. Gli speciali tribunali militari non ammettono la presenza di avvocati difensori, dettano la sentenza che viene immediatamente applicata, senza possibilità di appello. E oggi, dopo 24 anni, di molti non si sa se siano ancora vivi o già morti.

Nel corso degli anni gli ex amici del presidente non hanno mai potuto avere contatti con l’esterno; hanno vissuto nel più completo isolamento. Solo rare volte alcune notizie arrivano all’esterno tramite i carcerieri che li hanno incontrati durante la prigionia.

Nuovi arresti

Pochi giorni dopo l’arresto degli alti quadri politici, tra il 21 e il 23 settembre gli uomini del governo proseguono con fermi di giornalisti e editori che hanno avuto l’audacia di sollevare perplessità per i dissidenti sbattuti in galera. Tutti sono ancora oggi in attesa di processi equi, ovviamente mai voluti per evitare che durante i dibattimenti si arrivasse alla verità.

In questi anni, alcuni dei detenuti arbitrariamente sono morti. Nel 2018 è deceduto Haile Woldetensae, detto Duro, ministro degli Esteri fino al 2001, altri tre “dissidenti” del G15 lo hanno preceduto anni prima: Mohamoud Sherifo (ministro degli Interni), Ogboe Abraha (ministro degli Affari Sociali) e Seyoum Ogbamichael.

Vietato criticare

Poco più di una anno fa è morto un altro ex ministro, Berhane Abrehe. Non faceva parte del G15, è stato arrestato nel settembre 2018, dopo aver pubblicato le sue dure e mirate osservazioni al regime. Berhane è stato ministro delle Finanze dal 2001 al 2012.

Anche lui, come molti altri eritrei è stato sbattuto in galera senza un reale capo di accusa e quindi senza un equo processo. Il figlio Ephrem vive all’estero. E’ scappato anni fa dall’Eritrea, Paese che ormai da molti viene definito una prigione a cielo aperto.

UNHRC rinnova mandato

Basti pensare che il Consiglio dei Diritti Umani (UNHRC), organismo delle Nazioni Unite, ha bocciato a stragrande maggioranza la mozione di Asmara per porre fine al mandato di un esperto indipendente, incaricato di indagare sulle possibili violazioni dei diritti fondamentali nel Paese.

Il Consiglio non solo ha rigettato la richiesta dell’Eritrea, ma ha esteso per un altro anno il mandato dell’esperto indipendente dell’ONU, il sudanese Mohamed Abdelsalam Babiker, professore associato di diritto internazionale presso l’università di Khartoum e fondatore e direttore del Centro per i diritti umani dell’ateneo.

L’oppressione continua

Nel suo ultimo rapporto l’esperto ha spiegato che Il Paese non ha mostrato progressi significativi in tutti questi anni”. Ha poi sottolineato che molti abusi sono legati al servizio militare/civile indeterminato, al quale è quasi impossibile sottrarsi.

La relazione evidenzia anche la mancanza di libertà di espressione, di associazione, di riunione, di religione e il diritto di partecipare agli affari pubblici sono di fatto inesistenti. Vengono concessi solo previa approvazione del governo e a coloro che si allineano alle posizioni delle autorità. Nel 2024, l’Eritrea è stata classificata come il peggior Paese per la libertà di stampa a livello globale e rimane l’unico Stato africano senza media privati.

Anche la libertà di religione resta illusoria. Basti pensare che ad aprile 2025, 64 testimoni di Geova e tra 300 e 500 cristiani evangelici, erano in galera, senza accuse e processo.

La lista degli abusi dei diritti umani in Eritrea è lunga, per non parlare dei giovani che, dopo essere fuggiti, se rispediti in patria, vengono buttati in carcere o arruolati a forza. Sono state riportate anche numerose sparizioni.

Tutte bugie, lo Stato provvede a tutto

Eppure il 25 luglio 2025 Rai3 ha trasmesso un reportage di Francesca Ronchin e Salomon Mebrahtu intitolato “ La grande bugia – Eritrea andata e ritorno”. La giornalista ha anche intervistato Yemane Gebrehab. Il consigliere politico del dittatore sostiene che nel suo Paese vengono raccontato solo bugie. “Qui nessuno muore di fame. Lo Stato provvede al sostentamento di tutti gli abitanti”.

La nostra premier, Giorgia Meloni e Isaias Aferworki, presidente eritreo

Nel filmato vengono intervistate alcune persone, residenti e eritrei venuti in vacanza dall’estero. Chi ha parlato ai microfoni dei giornalisti, sostiene che si può ritornare in Eritrea senza problemi. Forse hanno dimenticano che fine fanno coloro che vengono rimpatriati forzatamente.

Nessun accenno alla chiusura della scuola italiana. Lo storico istituto, fondata nel 1903, ha terminato il suo lungo iter di formazione di giovani eritrei nel settembre 2020. Eppure nel documentario non mancano gli elogi a Asmara, soprannominata “La piccola Roma”, riconosciuta come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO dal 2017.

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Redazione Africa ExPress

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