Punti di distribuzione a Rafah della Gaza Humanitarian Foundation
Federica Iezzi
di ritorno da Gaza City, 14 agosto 2025
A Gaza la popolazione è minacciata da una catastrofica carestia, le cui cause serpeggiano nelle politiche perseguite dal governo israeliano. E, a questo proposito, all’interno del mondo ebraico sono ben identificabili tre posizioni
La prima è quella del negazionismo: a Gaza non c’è carestia. Coloro che si rifiutano di vederla, per difendere lo Stato di Israele a tutti i costi, indipendentemente dalla distorsione dell’ideale sionista riflessa nelle politiche governative.
La seconda posizione ammette che la carestia esiste e ne approva il fatto: lasciare gli abitanti di Gaza alla fame potrebbe costringerli a fuggire o a rivoltarsi contro Hamas, anche se ciò significa causare la morte di migliaia di civili.
Questa posizione esiste, è formulata, trasmessa e difesa. Ed è quella del nazionalismo più volgare, pronto a sacrificare tutto sull’altare della forza: la vita dei civili palestinesi, ma anche la dignità del popolo ebraico.
Infine, la terza posizione, è quella secondo la quale affamare una popolazione è inaccettabile. È un crimine, un crimine che il diritto internazionale – a condizione che giudichi sulla base di fatti comprovati e riesca a liberarsi dalle pressioni antisioniste che lo gravano da molti anni – è legittimato a classificare come tale, e deve quindi poter punire.
La condanna è quindi ciò che è richiesto al di sopra di ogni altra considerazione. Deriva da un requisito politico e morale minimo.
La scandalosa manipolazione israelo-americana degli aiuti umanitari, che prende vita nella Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sta impiegando società di sicurezza private (composte in gran parte da ex militari, personale dell’intelligence, personale filo-israeliano) per proteggere siti di distribuzione degli aiuti, una mossa che mina i principi umanitari fondamentali.
Secondo il diritto internazionale, le operazioni di aiuto devono rimanere neutrali, indipendenti e di natura civile. Trattare gli aiuti umanitari come una missione militarizzata viola tali standard.
Secondo l’articolo 59 della Quarta Convenzione di Ginevra, Israele, in quanto potenza occupante, è obbligato a consentire alle organizzazioni umanitarie indipendenti e imparziali di operare liberamente a Gaza.
Ma chi è oggi al comando della GHF? Non più il suo ex direttore esecutivo, Jake Wood, il quale si è dimesso prima che la fondazione iniziasse a fornire aiuti, affermando che l’iniziativa non poteva aderire ai principi umanitari fondamentali.
Tra le persone coinvolte oggi ci sono l’ex contractor di USAID (smantellata da Trump all’inizio del suo mandato), John Acree, e il reverendo Johnnie Moore, leader del cuore evangelico dell’America e parte del consiglio di amministrazione dell’International Fellowship of Christians and Jews (IFCJ), potente organizzazione con sede negli Stati Uniti dedicata alla promozione dell’immigrazione ebraica in Israele (aliyah) come adempimento della profezia biblica.
L’istituzione del sionismo come Stato ha implicato un allontanamento dall’innocenza, e Israele da allora si è assunto la responsabilità del suo potere. I valori democratici, che sono diventati più chiari a seguito dell’Olocausto, in particolare l’attaccamento alla dignità della vita umana e i diritti delle minoranze, dovrebbero essere elementi consustanziali del sionismo e dell’esperienza ebraica moderna post-Shoah, senza i quali il destino è l’autodistruzione.
La democrazia non è solo una questione di sovranità popolare e di istituzioni che limitano il potere dello Stato. È anche una cultura, che presuppone il rispetto umano, la volontà di risolvere i conflitti attraverso compromessi pacifici e una certa indulgenza verso l’umanità in generale e non solo verso quella della propria religione o nazione.
Eppure, se prendiamo in considerazione questi semplici criteri, come possiamo descrivere le azioni del governo israeliano a Gaza e in Cisgiordania come democratiche?
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43
Ci si può abbonare gratuitamente ad Africa Express sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress e sul canale Whatsapp https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R
Africa ExPress Milano, 3 dicembre 2025 Sabato e domenica prossime 6 e 7 dicembre a…
Speciale per Africa ExPress Cornelia Toelgyes 1° dicembre 2025 Il primo ministro togolese, Faure Gnassingbé…
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 30 novembre 2025 Basta file ai distributori di…
L'imam di Torino Mohamed Shahin aveva definito "resistenza" l'attacco del 7 ottobre. Troppo per…
Dal Nostro Redattore Difesa Antonio Mazzeo 28 novembre 2025 Nonostante gli screzi e le tensioni (più…
Africa ExPress Bissau 26 novembre 2025 Fino a poche ore fa non era chiaro se…