Sandro Pintus
Firenze 22 ottobre 2019
“Ho sentito puzza di genocidio a miglia di distanza quando ho visitato il campo profughi rohingya di Cox’s Bazar. È stato tutto troppo familiare per me, dopo un decennio di interazioni con le vittime degli stupri di massa del Ruanda, omicidi e genocidi”. Sono granitiche e senza appello le parole di Abubacarr Marie Tambadou, procuratore generale e ministro della Giustizia del Gambia.
Abubacarr ha così accusato l’ex Birmania di genocidio contro la minoranza musulmana rohingya. “Posso confermare che il 4 ottobre ho incaricato i nostri avvocati di portare il caso alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG)” – ha dichiarato.
Secondo il ministro gambiano i crimini commessi contro il popolo rohingya sono il fallimento della comunità internazionale nella prevenzione del genocidio. “Tutto ciò succede – ha affermato – 75 anni dopo la promessa fatta dopo i processi di Norimberga, che non sarebbe mai più accaduto”.
La decisione di portare il Myanmar alla CIG è stata presa lo scorso 18 ottobre all’Aja. Un incontro a porte chiuse su “Giustizia e responsabilità per i rohingya”, tenuto all’International Institute of Social Studies dell’Università Erasmus. Il conclave è stato convocato dalla Asia Justice Coalition e dal Centro di pace e giustizia della BRAC University di Dhaka.
Oltre cento specialisti hanno discusso di questioni di giustizia e responsabilità per i crimini contro l’umanità commessi contro i rohingya. Tra questi erano presenti alti funzionari governativi, importanti avvocati internazionali per i diritti umani, attivisti per i diritti umani e leader della comunità rohingya.
L’Asia Justice Coalition è una rete di organizzazioni che promuove la giustizia e la responsabilità per gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani in Asia. Fanno parte dell’Asia Coalition anche la Burmese Rohingya Organization, Centre for Peace and Justice, Asia Justice and Rights, Amnesty International, Human Rights Watch e International Commission of Jurists.
Il campo di Katupalong, nell’area di Cox’s Bazaar, in Bangladesh, al confine con il Myanmar accoglie oltre 420mila profughi rohingya. Nel 2015 il Gambia, piccolo Stato occidentale africano a maggioranza musulmana, si era offerto di accogliere i profughi rohingya.
I rohingya, in Myanmar, erano un milione di persone e secondo l’ONU sono una delle minoranze più perseguitate della Terra. Secondo una legge varata in Myanmar nel 1982, questa etnia non fa parte delle 135 riconosciute quindi non hanno cittadinanza birmana. Durante le repressioni del 2016/2017, sono stati espulsi dall’ex Birmania verso il Bangladesh. Qui vivono 650mila profughi di questa etnia musulmana.
Oggi, il gambiano Abubacarr Tambadou, con la sua esperienza sul genocidio in Ruanda, chiede il conto al Myanmar. E lo fa attraverso la Corte Internazionale di Giustizia, la massima istituzione giuridica dell’ONU.
Nel frattempo la Corte Penale Internazionale (CPI), contro il Myanmar sta indagando, per crimini contro l’umanità e deportazione del popolo rohingya. Lo stesso tribunale, nel 2016, ha condannato l’ex vice-presidente della Repubblica Democratica del Congo, Jean-Marie Bemba, a 18 anni di galera per genocidio.
(ultimo aggiornamento 22 ottobre 2019, 16:25)
Sandro Pintus
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