Juba, 11 dicembre 2018
Nel suo rapporto del 7 dicembre scorso, Amnesty International ha espresso preoccupazione per l’escalation delle esecuzioni capitali nel Sud Sudan, il più giovane Stato della Terra. Secondo la ONG con base a Londra, nel 2018 sarebbero state giustiziate un maggior numero di persone da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza nel 2011.
Dall’indipendenza i tribunali sud sudanesi avrebbero emesso almeno centoquaranta sentenze capitali, trentadue delle quali sarebbero già state eseguite. Nel 2018 sono già state giustiziate sette persone, tra loro anche un minore. Centotrentacinque persone, detenute nel braccio della morte, sono state trasferite recentemente in altre due prigioni, tristemente note perché eseguono materialmente la pena di morte.
Altri trecentoquarantadue prigionieri si troverebbero attualmente nel braccio della morte, tra loro anche una mamma con un bimbo piccolo e un minore.
Joan Nyanyuki, direttore di Amnesty per l’Africa orientale ha sottolineato: “E’ estremamente inquietante che la più giovane nazione applichi ancora queste pene, giustiziando persino minori, mentre il resto del mondo sta abolendo queste orribili condanne”. Aggiungendo: “Il presidente del Paese non deve più firmare sentenze di morte, una violazione del diritto alla vita”.
Il portavoce della presidenza, Ateny Wek Ateny, ha rimandato le accuse al mittente e ha fatto sapere: “Da quando esiste questo Stato, nessuno è mai stato giustiziato, in quanto dal 2013 siamo tra i firmatari della moratoria che vieta la pena di morte. Non capisco da dove Amnesty abbia preso queste informazioni”.
Ateny ha anche minimizzato per quanto riguarda il trasferimento dei prigionieri, puntualizzando che si tratterebbe di normale routine, visto che il penitenziario di Juba sta scoppiando. E’ stato progettato per millecinquecento detenuti ed ora ce ne sono quindicimila”.
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