Speciale per Africa Express
Andrea Spinelli Barrile
Roma, 9 settembre 2015
E’ stato assassinato nella notte tra lunedì e martedì a Ghiosha, un sobborgo a nord della capitale del Burundi Bujumbura, con due colpi di arma da fuoco sparati da distanza ravvicinata, Patrice Gahungu, portavoce del partito di opposizione Unione per la Democrazia e la Pace (UDP).
Stava tornando a casa, proprio alle spalle degli uffici comunali di Ghiosha, quando alcuni aggressori ancora non identificati (più di uno, secondo RFI, uno solo, secondo la BBC) gli hanno sparato addosso: la sua auto è stata trovata “crivellata di colpi” (sei bossoli), spiega il vice direttore della Polizia Godefroid Bizimana interpellato da Jeune Afrique: “Secondo i primi elementi raccolti nelle indagini, gli uomini armati si sono nascosti nei pressi di casa sua prima di sparargli. Abbiamo trovato sei bossoli accanto al suo veicolo”, dice Bizimana, ricostruendo gli eventi come fossero un omicidio politico del quale si sarebbe macchiata la stessa opposizione: “Si era recentemente congratulato, pubblicamente, con il Presidente Nkurunziza per la sua rielezione, cosa che ha attirato l’ira dei suoi”, avrebbe riferito una fonte della polizia all’Agence France Presse.
Una versione che tuttavia non convince: l’omicidio di Gahungu (c’è chi la definisce “esecuzione”) non è molto diverso da quello di altri oppositori politici invisi a Pierre Nkurunziza. Zedi Feruzi, ex-leader di UDP, è stato ucciso il 23 maggio con modalità poco dissimili e sono centinaia i morti per le strade in seguito alle proteste che animano il Paese africano da aprile, da quando il (due volte) Presidente Nkurunziza ha annunciato la sua terza candidatura.
Clemence Nsabiyimbona, vedova della vittima, ha confessato ai media burundesi la propria certezza sulla matrice politica dell’omicidio: “Mio marito ha recentemente ricevuto minacce da telefonate anonime. Ha continuato il suo lavoro ma sapeva che poteva morire presto”, ha assicurato la donna.
La vittoria delle elezioni da parte di Nkurunziza ha letteralmente infuocato il paese, inasprito molto la repressione e ripristinato quella latente propaganda hutu-power che rischia di gettare il Burundi in un inferno senza fine: decine di migliaia di persone, ma c’è chi parla di centinaia di migliaia, hanno già abbandonato il paese per il timore di ritrovarsi in una guerra civile senza scampo, e oggi affollano i campi profughi allestiti nei paesi vicini.
Un anno fa, il 7 settembre 2014, morivano trucidate le tre suore italiane Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernadetta Boggian nel convento di Kamenge, altro sobborgo di Bujumbura in queste ore letteralmente sotto l’assedio delle armi pesanti e dell’artiglieria delle forze governative: Christian Claude Butoyi, presunto omicida, resta chiuso in un manicomio ma le indagini si sono arenate e quei tragici eventi restano per ora insoluti.
Andrea Spinelli Barrile
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