Sud Sudan, terzo anniversario dell’indipendenza: bilancio tragico

Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 9 luglio 2014
“Perché dovremmo festeggiare il giorno dell’indipendenza? Qui non c’è proprio nulla da festeggiare”. E’ questa l’opinione della maggior parte dei sud sudanesi oggi, dopo solo tre anni dalla nascita del nuovo Stato, il Sud Sudan, il più giovane Paese del globo terrestre. Tre anni fa  la popolazione aveva gioito, era piena di speranze, di aspettative, convinta che i loro figli avrebbero avuto un futuro migliore, dopo decenni di guerra, di combattimenti con il Sudan. 

Un referendum, fortemente appoggiato dall’ONU aveva reso indipendente questo popolo e c’erano tutti i presupposti che potesse vivere una vita serena. In quel “lontano” 9 luglio 2011 l’ottimismo era palpabile ovunque. Il Sud Sudan ha della buona terra coltivabile, il sottosuolo ricco di minerali e c’è anche del petrolio. Il mondo intero aveva coccolato questo  “neonato” .

Il sogno è durato solamente due anni e mezzo: a metà dicembre 2013 è scoppiata la guerra civile per incomprensioni politiche tra Salva Kiir,  appartenente all’etnia dinka, presidente del Sud Sudan, e Riek March, Nuer ed ex-vicepresidente del Paese.

Incredibile a dirsi, una discussione tra due persone appartenenti all’èlite politica del paese, seguita da scaramucce all’interno della guardia presidenziale a Juba, capitale del Sud Sudan, sono bastate  per far scoppiare una guerra civile di dimensioni tragiche.

”E’ importante ricordare che in due anni i governanti del Paese hanno rubato ben quattro biliardi di dollari di fondi pubblici. L’ingente somma, era destinata alla costruzione di scuole, ospedali, infrastrutture di vario genere, inoltre parte di essa sarebbe dovuta essere investita per diversificare l’economia del Paese, per garantirgli stabilità ed autonomia”  dichiara E.J. Hogendoom, vice-direttore per l’Africa dell’International crisis group.

Oggi nel Sud  Sudan la situazione è la seguente:

– In soli sei mesi sono state uccise oltre diecimila persone
–  Un milione e centomila sono gli sfollati interni
– Più di quattrocentomila sono profughi nei Paesi confinanti
– Settemilioni di persone necessitano di aiuti umanitari urgenti. Sono nell’impossibilità di procurarsi il cibo, spesso sono ammalati.
– Duecentotrentacinquemila bimbi sotto i cinque anni sono malnutriti.
– Gli Stati più colpiti dalla carestia sono l’Upper Nile e il Jongley. 

Jonathan Veitch (UNICEF) racconta: “Quando le persone vengono cacciate dalle loro terre, spesso devono camminare per giorni e giorni senza cibo, per raggiungere Bentiu, la capitale di uno Stato interno. Spesso bambini arrivano in condizioni tali di denutrizione che non c’è più nulla da fare per loro”.

A tutto questo si aggiunge il colera che ha già colpito oltre duemilaseicento persone. Più di sessanta le vittime. I primi casi sono scoppiati a Juba, a fine aprile. Si è diffuso velocemente in altri Stati sud sudanesi, anche per la scarsa igiene che vige nei campi sovraffollati dell’UNMISS (corpo di pace in Sud Sudan) che accolgono anche sfollati. Non succede in nessun altra parte del mondo.

Chi paga il prezzo più alto sono, come sempre, i bambini. Secondo le stime più diffuse ne potrebbero morire cinquantamila nei prossimi mesi. Cinquantamila creature innocenti destinati a morire di fame e questo nel 2014.

L’ammonimento di Ban Ki Moon, rivolto alla classe politica del Sud Sudan,  in occasione del terzo anniversario della sua indipendenza è stato severo: “Deponete le armi, tornate al tavolo delle trattative, il vostro popolo non può continuare a soffrire così”.

Tornare al tavolo delle trattative non sarà semplice. Per il momento i negoziati di pace tra Salva Kiir e Riek Machar sono sospesi a tempo indeterminato.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter: @cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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