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Cinque giornalisti di Al Jazeera sbattuti da un mese in una galera egiziana: la loro colpa? Informare

Speciale per Africa ExPress
Barbara Serra
Londra, 26 gennaio 2013
E’ da cinque settimane che durante la conduzione del TG di Al Jazeera English, leggo lo stesso testo. Cosa strana per un canale all-news, dove a volte le notizie “invecchiano” anche dopo solo un paio di ore. Invece questo testo rimane immutato, da settimana in settimana. L’unica parola che cambia è il numero di giorni di detenzione. Ecco il resto, ormai familiare ai nostri telespettatori:

“Al Jazeera continua a richiedere  il rilascio immediato dei suoi cinque giornalisti detenuti in Egitto. I collaboratori Mohammed Fahmy, Baher Mohamed e il corrispondente Peter Greste, sono detenuti senza accusa da 29 giorni. Sono accusati di diffondere bugie dannose alla sicurezza di Stato e di essere membri di un gruppo terroristico. Al Jazeera definisce queste accuse inventate. I tre sono detenuti nella prigione Tora, fuori Cairo. Gli altri due giornalisti lavorano per i nostri canali affiliati. Abdullah al Shami è un reporter per Al Jazeera araba, Mohamed Bader un operatore per Al Jazeera Egitto. Sono detenuti da cinque mesi.”

I miei colleghi di Al Jazeera English Peter Greste,  Mahammed Fahmy e Baher Mohamed sono detenuti dal 29 dicembre. Sono in celle separate. La prigione di Tora è solitamente riservata ai criminali più pericolosi.

Il crimine di cui sono accusati è di ”propagare informazioni sbagliate”, anche se l’accusa non è formale (“they have not been charged”) e spesso cambia: dal non aver registrato ufficialmente l’attrezzatura all’essersi legati ai Fratelli Musulmani, ora definiti  gruppo terroristico dal nuovo governo del generale Abdel Fatah el-Sisi.

Tutte queste accuse sono state respinte da Al Jazeera, che sostiene l’integrità, la professionalità e l’imparzialità dei suoi giornalisti. Per gli scettici, Al Jazeera ha pubblicato su sito ufficiale aljazeera.com un montaggio degli ultimi servizi di Peter Greste dal Cairo. Sfido chiunque a mostrare che il suo reportage non fosse onesto, bilanciato e serio. 

Non è solo Al Jazeera che sta lottando per la liberazione dei suoi reporter. Anche molti altri giornalisti internazionali ci stanno sostenendo. Quaranta corrispondenti di tutto il mondo che fanno reportage dall’Egitto, fra cui troviamo anche le voci più autorevoli della BBC, CNN, l’Economist e The New York Times, hanno pubblicato una lettera chiedendo la liberazione dei giornalisti di Al Jazeera. Mohammed Fahmy aveva lavorato per anni alla CNN e Peter Greste era un volto noto alla BBC prima di passare ad Al Jazeera. [Qui la lettera che Peter Greste ha scritto dal carcere di Tora, ndr]

La loro onestà giornalistica non è messa in dubbio da parte dei grandi media mentre è contestata da parte del governo del Generale el-Sisi.

C’è anche un’altra ragione dietro questa solidarietà fra colleghi. L’Egitto sta diventando uno dei paesi più pericolosi al mondo per chi svolge il nostro mestiere. Nel 2013 sono stati uccisi sei giornalisti. Il Committee to Protect Journalists (CPJ), un’organizzazione americana, indipendente e no profit, definita anche la Croce Rossa dei giornalisti, sostiene che solo dal luglio scorso, mese del cosiddetto “colpo di stato” da parte dell’esercito contro l’allora Presidente Mohamed Morsi sostenuto dai Fratelli Musulmani, 45 giornalisti sono stati attaccati, 44 detenuti senza accusa e 11 organizzazioni hanno subito perquisizioni.

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Fare il lavoro di giornalisti in Egitto sta diventando sempre più rischioso. Non solo per Al Jazeera, spesso presa particolarmente di mira da vari governi arabi, ma per tutti. 

Un comportamento delle autorità che sta preoccupando non solo i giornalisti, ma anche i politici. Se ne è parlato durante una seduta del Parlamento Britannico e, oltreoceano, il senatore americano John McCain ha condannato le azioni di quello che ha definito “Il governo militare” egiziano. McCain ha lanciato un messaggio. “Se volete far parte della comunità delle nazioni e ottenere la nostra cooperazione ed assistenza, allora non potete commettere atti come la detenzione arbitraria di operatori dell’informazione.”

Io sono molto fiera di lavorare per Al Jazeera. I TG che conduco sono una vera finestra senza filtri sul mondo, e lo mostrano in tutta la sua bellezza, ingiustizia e crudeltà. Questo punto di osservazione privilegiato è reso possibile dal coraggio di colleghi come Peter Greste, Mahammed Fahmy, Baher Mohamed, Abdullah al Shami e Mohamed Bader.

Loro rappresentano il nostro diritto di sapere cosa sta succedendo nel mondo. E questo nostro diritto al momento è rinchiuso in una squallida cella di una prigione egiziana.

Barbara Serra
Conduttrice e corrispondente, Al Jazeera english
twitter @BarbaraGSerra

Nelle foto: i tre giornalisti di Al Jezeera in inglese detenuti in Egitto (da sinistra Baher Mohamed, Mohamed Fahmy e Peter Greste) la conduttrice del network televisivo, Barbara Serra, autrice di questa testimonianza, una manifestazione al Cairo e, nel video, una delle ultime corrispondenze di Peter Greste prima di essere arrestato.

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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