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Mali, chi è Muktar Belmuktar, l’algerino sfuggito sempre alla cattura

Ecco come Muktar Belmuktaar viene descritto ds Serge Daniel nel suo libro Aqmi: l’industrie de l’enlèvement (Paris, Fayard 2012).  Serge Daniel, giornalista per la France Presse,  è un esperto di Mali e dei paesi limitrofi. Il suo libro, che si legge come un romanzo giallo,  racconta decine di dettagli inediti sulle attività islamiche nel Sahara.

Moktar Belmoktar, alias Khaled Abou el-Abbas, alias Belaaouar è la vedetta della banda. È lui che ha acceso la fiamma islamica nel Sahel, preparando l’arrivo d’Aqmi nella zona. È anche il più conosciuto dai media.

Algerino, nato il primo giugno 1972 a Ghardaia, è sposato con una donna maliana di etnia bérabiche. Arruolato nell’esercito algerino, l’ha abbandonato per dedicarsi a traffici e contrabbandi vari (sigarette, armi, ecc.) verso la Libia e la regione saheliana, più precisamente in direzione del Niger e del Mali.

Sensibile alla dottrina della jhiad, Belmokhtar appena ventenne ha partecipato alla guerra contro l’armata sovietica in Afghanistan, dove è rimasto un anno e mezzo e dove ha ricevuto una formazione militare e ha intessuto contatti con molti jhiadisti arabi, prima di ritornare in Algeria nel 1992.

Come un altro celebre combattente di Allah, il Mullah Omar, ha perso un occhio in combattimento proprio in Afghanistan, da cui deriva il suo soprannome ‘il Guercio’.

Nonostante Belmokhtar la contesti, la sua reputazione è quella di contrabbandiere di sigarette e di automobili. Alla fine del 1992 crea, nella sua città natale, la khatiba Eshahada (“Brigata del martirio”). Tra i crimini rivendicati da quest’ultima, l’assassinio di cinque europei lavoratori di una società petrolifera.

Molto rapidamente stabilisce fra il 1994 e il 1995 contatti con la costola di Al Qaeda in Sudan. Uno dei suoi fratelli di combattimento, Abdel Baghi, viene assassinato. Lui si ritrova a capo del Sahara in qualità di ‘emiro’.

All’epoca fa parte del GIA (Gruppo Islamico Armato) algerino, ma non per molto. Occorre  precisare che la khatiba Eshahada, affiliata al GIA di cui lui stesso ha fatto parte, aveva come raggio d’azione un territorio che si estendeva dal Sahara algerino alla regione sahelo-sahariana dell’Africa occidentale. Dopo l’incoronazione del sanguinario Antar Zouabri, leader islamista algerino, alla testa del GIA, Belmokhtar entra nel gruppo originario che ha deciso la scissione e la nascita, nel 1998, del GSPC (Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento) sottomettendosi al comando di Hassan Hattab.

Moktar Belmohtar viene allora nuovamente nominato Emiro della zona sud di questo gruppo terroristico prima di trasferirsi in Mali, dove crea il primo nucleo della khatiba Al-Moulathamoune e partecipa al sequestro di ostaggi occidentali che, nel 2003, permette al GSPC di rivendicare un ruolo internazionale nella holding del tyerrore.

In quegli anni la sua azione si concentra in Mauritania. I membri mauritani della struttura controllata da Belmokhtar sono incaricati di organizzare azioni terroristiche che, oltre all’attacco ai simboli dello Stato mauritano, passano dall’assalto a convogli pubblici al sequestro di turisti occidentali e alla richiesta di riscatto per la loro liberazione.

Una leggenda incornicia il personaggio: sarebbe dotato di un potere che gli permette di scappare a tutti i tentativi d’arresto. Il 19 febbraio 2008 ha partecipato a un attacco contro l’esercito algerino. In quell’occasione la stampa annuncia la sua morte. Un giornale maliano insinua subito dubbi sulla veridicità della notizia, parlando di una manovra dei sevizi segreti algerini con cui Belmohtar aveva flirtato: il giornale aveva ragione”

Tratto da: Serge Daniel, Aqmi: l’industrie de l’enlèvement, Paris, Fayard 2012
Traduzione di Andrea de Georgio

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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