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Gli ostaggi di MSF liberati in Darfur, pagato il riscatto, Frattini smantisce

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 15 marzo 2009

Finalmente liberi i quattro operatori umanitari di Medici Senza Frontiere Belgio rapiti mercoledì a Seraf Umra nel nord Darfur. Hanno raggiunto Khartoum ieri sera abbastanza tardi. Il medico italiano Mauro D’Ascanio, l’infermiera canadese Laura Archer e il coordinatore sanitario francese Raphael Meonier, nel pomeriggio erano stati prelevati da un elicottero militare sudanese dal luogo di detenzione e portati a El Fasher, capitale del nord Darfur. Lì un aereo li ha caricati a bordo e hanno potuto così raggiungere la capitale sudanese dove li ha accolti l’ambasciatore italiano Roberto Cantone e una delegazione di Msf, che li ha presi in consegna e li ha portati all’ospedale centrale di Khartoum per i primi accertamenti sullo stato di salute. Sono comunque in buone condizioni, la loro prigionia è durata meno di tre giorni.

Resta il mistero di cosa sia accaduto nelle ultime 24 ore. Venerdì sera la loro liberazione era stata data per certa dalla Farnesina e da Msf. Poi però era giunta la smentita del governatore del nord Darfur, che aveva, senza mezzi termini, criticato il ministero degli esteri italiano per aver diffuso una notizia “non corretta”. “Sto trattando io la liberazione – aveva detto Osmane Mohammed Yousif Kibir, parlando al servizio arabo della BBC – . Gli ostaggi sono ancora prigionieri”. Poi, contattato al telefono dallo stringer di Africa ExPress a Khartoum, aveva aggiunto: “Impossibile che siano stati rilasciati. I soldi sono ancora sulla mia scrivania!”

Secondo fonti confidenziali del governo sudanese, tutte da verificare, l’accordo sulla liberazione era stato veramente raggiunto venerdì ma, all’ultimo momento, si è verificato un intoppo. Tra le richieste iniziali dei rapitori – un gruppo filogovernativo conosciuto come Border Gards (Guardie di frontiera) – non figurava solo  un milione di dollari di riscatto, ma soprattutto l’impegno della Francia a muoversi per cancellare il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale (Cpi) contro il presidente sudanese Omar Al Bashir per crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

La pretesa aveva imbarazzato non poco lo stesso governo sudanese che, durante le trattative, aveva chiesto alla gang di rapitori di non insistere. Una parte del gruppo aveva accettato, ma l’ala più oltranzista, e più realista del re, non aveva intenzione di cedere e si era rifiutata di consegnare gli ostaggi. Da qui il ritardo. Il negoziato era continuato serrato ieri mattina, finché sono dovute intervenire le sfere più alte del regime (qualcuno dice lo stesso Al Bashir) per convincere i più radicali. Alla fine ci sono riusciti, la rivendicazione politica è stata abbandonata ma sul riscatto non c’è stato niente da fare.

** FILE ** In this Monday, April 23, 2007 file photo, Sudanese Darfur survivor Ibrahim holds human skulls at the site of a mass grave where he says the remains of 25 of his friends and fellow villagers lie, on the outskirts of the West Darfur town of Mukjar, Sudan. The International Criminal Court issued an arrest warrant Wednesday, March 4, 2009 for Sudanese President Omar al-Bashir on charges of war crimes and crimes against humanity in Darfur. (AP Photo/Nasser Nasser, File)

Le autorità sudanesi immediatamente hanno detto che non si doveva versare un soldo, ma la prigionia sarebbe andata ancora avanti per qualche giorno. Per velocizzare il rilascio qualcuno ha deciso di pagare “le spese”. Dal milione iniziale si è scesi a 400/500 mila dollari, probabilmente pagati dai tre governi interessati. Il ministro degli esteri italiano, Franco Frattini ha smentito che sia stato pagato alcun riscatto.

Comunque ieri pomeriggio l’elicottero militare ha potuto raggiungere il luogo di detenzione e portare via gli ostaggi, risparmiando loro un viaggio in auto di più di quattro ore sulle disastrate piste darfuriane.

Christopher Stokes, direttore generale di MSF Belgio ha detto di essere indignato per il rapimento “che rappresenta una grave violazione di tutto ciò per cui ci battiamo. Il sequestro di operatori umanitari mette in pericolo l’assistenza alle popolazioni. Il nostro lavoro medico indipendente deve essere rispettato se vogliamo continuare a operare in zone di conflitto per salvare le vite ci coloro che soffrono di più.”.

“Questo rapimento  – ha concluso il direttore di MSF Belgio – rappresenta un’escalation dell’insicurezza che gli operatori umanitari devono fronteggiare in Darfur. Come conseguenza MSF è stata costretta a ridurre notevolmente tutte le attività mediche nella regione”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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