Autocisterne dal Niger in Mali
Cornelia I. Toelgyes
30 novembre 2025
Basta file ai distributori di benzina a Bamako. Il Niger è venuto in aiuto al Mali e ha inviato 82 autocisterne di carburante al Paese amico. Entrambi gli Stati e il Burkina Faso hanno fondato AES (Alleanza degli Stati del Sahel) e all’inizio dell’anno sono usciti definitivamente da ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale). E’ la prima operazione di AES dall’inizio del blocco degli islamisti di JNIM (Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani, legato a al Qaeda), cominciato i primi di settembre sulle maggiori arterie stradali in Mali.
Il tragitto che ha dovuto percorrere il convoglio, accompagnato dai militari, non era certo breve: sono quasi 1.400 chilometri che separano Niamey da Bamako. Ma ne è valsa la pena. Gli abitanti di Bamako hanno finalmente un po’ di respiro e le attività possono riprendere a pieno ritmo. Chissà però fino a quando. La gente teme che il blocco di JNIM possa inasprirsi nuovamente.
Se la capitale maliana per il momento è tranquilla (secondo gli analisti la sola capitale necessiterebbe però di almeno 150 cisterne di carburante al giorno), altre città del Paese sono ancora a secco. E’ il caso di Mopti (centro del Mali). Da oltre 50 giorni i residenti sono senza carburante, senza energia elettrica. Nella stessa situazione si trovano altre città nel sud e nel centro del Paese, anche se il governo ha promesso il trasporto di idrocarburi nei centri abitati maggiormente colpiti.
La situazione sarebbe migliorata, secondo un economista maliano, grazie alle procedure di sdoganamento più veloci e nuovi dispositivi di sicurezza in collaborazione con Africa Corps (soldati di ventura russi che hanno sostituito Wagner). Il nuovo contingente è direttamente controllato dal ministero della Difesa di Mosca.
Il governo maliano ha siglato un nuovo accordo con le società di trasporto per velocizzare le questioni amministrative. Secondo le autorità di Bamako, il ritardo delle consegne del carburante sarebbe dovuto soprattutto alle lungaggini burocratiche e a frodi (furto di carburante destinato al mercato nero), piuttosto che al blocco dei jihadisti.
Dall’inizio di settembre il governo ha sempre cercato mille scuse per giustificare la mancanza di combustibile. Una volta è colpa della stagione delle piogge, poi degli operatori del settore, dei truffatori e naturalmente nel calderone dei responsabili non mancano le potenze straniere, “sponsor dei terroristi”.
E mentre i bamakesi si godono l’attimo di tregua, l’esercito maliano (FAMa) con Africa Corps continua a seminare morte.
Contrariamente a Wagner, il nuovo contingente si è mosso con più cautela nell’ex colonia francese. Fino a poco fa ha partecipato a poche operazioni congiunte con l’esercito di Bamako nel sud del Paese. Solo da novembre Africa Corps ha iniziato a collaborare attivamente per quanto riguarda la scorta ai convogli delle autocisterne.
Infatti la giunta militare, capeggiata da Assimi Goïta, e Africa Corps si sono concentrati per lo più sul il controllo delle miniere aurifere, spesso in mano a JNIM e EIGS (Stato Islamico nel Grande Sahara).
Infatti, malgrado il blocco stradale dei jihadisti, a metà novembre l’esercito, sostenuto dai soldati di ventura, ha riconquistato il sito minerario di Intahaka nella regione di Gao (nel nord). Mosca è particolarmente interessato all’oro maliano, visto che recentemente la società russa Yadran ha stretto una partnership con Bamako per la costruzione di una nuova raffineria d’oro nel Paese, che dovrebbe trasformare 200 tonnellate d’oro all’anno.
Secondo testimonianze di alcuni abitanti e una organizzazione per i diritti umani locale, raccolte da RFI, nella area di Goundam, regione di Timbuktù, i soldati di Bamako in collaborazione con i russi di Africa Corps avrebbero brutalmente ammazzato 13 persone in una sola giornata. Tra le vittime ci sarebbero anche due donne e due bambine. Alcune abitazioni e negozi sarebbero stati saccheggiati e incendiati. Ovviamente l’esercito maliano è rimasto in religioso silenzio e non ha dato seguito alle domande dei reporter della testata francese.
Lo Stato maggiore ha però rivendicato immediatamente la distruzione di un deposito di carburante dei terroristi nella regione di Mopti. Mentre un altro, situato in una base di miliziani, sarebbe stato colpito durante un attacco aereo nella zona di Menaka, nel nord-est del Paese.
A fine novembre la Francia ha annunciato una riduzione del proprio personale diplomatico e consolare in Mali. Saranno rimpatriati anche parte degli insegnanti delle scuole francesi di Bamako. Visto lo stato di insicurezza, le ambasciate di Stati Uniti e Gran Bretagna avevano già evacuato a fine ottobre l’organico non strettamente necessari e le loro famiglie.
Certo, le implicazioni di una tale misura son ben più importanti per Parigi che non per Washington e Londra. Anche se la Francia ha pessimi rapporti con la giunta militare salita al potere nel 2020, ci sono ben 4.300 connazionali iscritti nelle sue liste consolari, tra questi una larga maggioranza di persone con doppia cittadinanza.
Cornelia Toelgyes
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