AFRICA

Dall’Africa agli Stati Uniti: la rivoluzione economica del nuovo sindaco di New York nato in Uganda

Speciale per Africa ExPress
Valentina Vergani Gavoni
14 novembre 2025

Il mondo è in evoluzione, e il cambiamento è economico. La spinta arriva da un africano, di origini indiane, emigrato in America. Lui si chiama Zohran Kwame Mamdani, ed è il nuovo sindaco di New York.

Nato a Kampala – in Uganda – il 18 ottobre 1991, ha vissuto sulla sua pelle le conseguenze delle politiche postcoloniali in Africa. Grazie all’istruzione e all’esempio dei suoi genitori, ha portato avanti la stessa rivoluzione di chi come lui ha subito il colonialismo capitalista che continua a sfruttare il continente africano a discapito degli africani.

Il nome del nuovo capo dell’amministrazione comunale della città statunitense oggi risuona da Occidente a Oriente: “Il mio nome è Mamdani, M-A-M-D-A-N-I, impara a dirlo perché lo devi pronunciare bene”, ha risposto all’ex sindaco democratico Andrew Cuomo in un dibattito televisivo.

La cultura africana tramandata per nome

“Etimologicamente, Mamdani si traduce approssimativamente in ‘Maometto’, un nome per i seguaci del profeta musulmano. Zohran ha origini sia arabe che persiane e porta con sé diversi significati, tra cui ‘luce’, ‘radianza’ e ‘fiore’. Kwame è un nome tradizionale del popolo Akan, appartenente al gruppo etnico Kwa che vive principalmente in Ghana, in alcune parti della Costa d’Avorio e del Togo nell’Africa occidentale”, scrive Edna Mohamed in un articolo di Al Jazeera.

La storia è fortemente legata al “rivoluzionario ghanese, Kwame Nkrumah, che guidò il movimento per l’indipendenza del suo paese. Il Ghana è stata una delle prime nazioni dell’Africa subsahariana a ottenere l’indipendenza dal dominio britannico nel marzo 1957. Nkrumah è stato il primo ministro e, in seguito, il primo presidente fino a quando non è stato rovesciato da un colpo di stato nel 1966”, analizza Edna Mohamed.

Kwame Nkrumah, rivoluzionario ghanese

“Era influente in tutta l’Africa come sostenitore del panafricanismo, un’ideologia che promuove l’unità in tutto il continente africano e all’interno della sua diaspora sfidando la divisione imperialistica delle nazioni africane sotto il dominio coloniale europeo”, si legge nell’articolo.

“Sotto la sua amministrazione, nazionalista e prevalentemente socialista, Nkrumah supervisionò il finanziamento di progetti energetici nazionali e un robusto sistema educativo nazionale che promuoveva anche il panafricanismo”, riporta la giornalista di Al Jazeera.

Il cambiamento parte dall’economia

La famiglia del nuovo sindaco di New York ha vissuto in diversi Paesi: Uganda, Sudafrica a Città del Capo, e infine Stati Uniti dove Zohran si è trasferito all’età di circa sette anni. Ed è proprio dall’Africa che arriva il messaggio: cambiare le dinamiche dell’economia mondiale.
Genitori di Zohran Kwame Mamdani
Il colonialismo – e le modalità con cui viene perpetuato – non è nient’altro che il volto più spietato del capitalismo. E solo chi ha vissuto dalla parte degli oppressi conosce a fondo i propri oppressori. Mamdani, come molti studiosi che analizzano il processo di colonizzazione dal punto di vista economico, confronta infatti le politiche di esclusione in Africa con le disuguaglianze negli Stati Uniti.

La segregazione urbana, la discriminazione razziale sistemica e l’esclusione economica di comunità povere o minoritarie sono conseguenze del sistema dominante. E la politica domestica di Mamdani, focalizzata sull’accesso alla casa, ai servizi pubblici e la protezione delle classi sociali più sfruttate è una risposta alla logica di sfruttamento e accumulazione tipica dei sistemi coloniali e post‑coloniali, adattata al contesto americano.

La sua vittoria elettorale, quindi, potrebbe destabilizzare gli equilibri internazionali nel momento in cui l’ideologia riuscisse davvero a trasformarsi in una realtà concreta. “L’elezione di Mamdani rappresenta un cambiamento significativo per la città. Autodefinitosi socialista democratico, proveniente dall’ala più progressista dei Democratici, ha sconfitto l’ex governatore Andrew Cuomo, riportando al centro del dibattito il tema della giustizia economica”, scrive Alessandra Caparello per Wall Street Italia.

La paura degli economisti

“Alcune delle proposte di Mamdani sono state accolte con allarme da esponenti del settore finanziario, che temono un impatto negativo sull’attrattività economica della città. Eppure Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, aveva già detto che, qualora Mamdani avesse vinto, sarebbe stato disposto a collaborare. Dopo le elezioni, anche l’investitore Bill Ackman si è detto aperto al dialogo, pur avendo criticato duramente in passato il piano economico del nuovo sindaco, definendolo un rischio per l’occupazione e per la permanenza dei grandi contribuenti”, analizza la giornalista.

“A mettere in guardia è intervenuto anche il segretario al Tesoro, Scott Bessent, che ha avvertito del rischio di una crisi fiscale e ha escluso la possibilità di un salvataggio federale qualora la città finisse in difficoltà. ‘Non puoi adottare politiche di questo tipo e aspettarti di essere salvato’, si legge nell’articolo pubblicato da Wall Street Italia.

Il sistema Trump contro quello di Zohran Kwame Mamdani

“Il confronto tra Mamdani e i leader della finanza sarà determinante per capire se la sua agenda potrà tradursi in politiche sostenibili o se si andrà verso un braccio di ferro ideologico. Non è solo il destino economico di New York ad essere in gioco, ma anche un possibile modello politico per le grandi metropoli del futuro”, commenta Alessandra Caparello.

La sfida: successo o fallimento

Le potenze coloniali africane hanno spesso esportato modelli economici di sfruttamento: estrazione di risorse, manodopera sottopagata e politiche commerciali fondate sul dominio territoriale.

Oggi molti critici del sistema economico dominante come Mamdani vedono una continuità tra colonialismo e capitalismo globale. Le multinazionali che sfruttano manodopera a basso costo nei Paesi in via di sviluppo, e i mercati finanziari internazionali che favoriscono i Paesi ricchi, contribuiscono al finanziamento di genocidi e guerre di espansione spacciate per diritto all’autodifesa.

Il mercato globale infatti riproduce gli squilibri di potere tra oppressi e oppressori. Tra Stati dominanti e stati dominati. E le medesime logiche di estrazione economica coloniale sono perpetuate su scala internazionale.

Dal 1° gennaio 2026, Mamdani dovrà dimostrare prima ai newyorkesi, poi a tutti gli americani e al mondo intero, che è possibili applicare l’etica al capitalismo cambiando le dinamiche dall’interno del sistema. Il nemico più pericoloso è l’isolamento, che si trasforma in ricatto. E di conseguenza in corruzione.

Molti sono i punti deboli dell’ideologia socialista. Il fallimento è sempre alla porta di casa. Solo una reale cooperazione internazionale potrà trasformare la sua politica domestica in un modello da esportare oltre i confini.

Valentina Vergani Gavoni
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