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Medio Oriente, cambio di strategia: Trump valuta di vendere i caccia F-35 all’Arabia Saudita

Speciale per Africa ExPress
Valentina Vergani Gavoni
11 novembre 2025

Gli Stati Uniti stanno espandendo il loro dominio in Medio Oriente. E l’Arabia Saudita potrebbe diventare il secondo principale alleato, dopo Israele.

Sembra che non sia più sufficiente contare sull’egemonia occidentale perpetuata per mezzo di intimidazioni e dimostrazioni di forza militare. Il resto del mondo si sta organizzando per competere contro gli Stati egemoni, e gli USA cambiano strategia.

Il quotidiano israeliano Daderech riporta infatti la notizia che conferma l’intenzione di vendere i caccia F-35 al Regno del principe ereditario Mohammed Bin Salman. L’Arabia Saudita aveva precedentemente espresso la volontà di acquistare gli aerei americani per aumentare il suo potere deterrente contro l’Iran.

Quotidiano israeliano Daderech

Una mossa strategica, questa, che potrebbe davvero cambiare gli equilibri geopolitici in Medio Oriente. E i rapporti tra Israele i suoi vicini.

Secondo un rapporto della Reuters la richiesta saudita è stata inoltrata direttamente al presidente all’inizio di quest’anno e “dopo un’attenta valutazione, ha ora raggiunto i vertici del Dipartimento della Difesa. Il Pentagono ha completato la sua valutazione professionale e la questione è sulla scrivania” riporta il quotidiano israeliano Daderech.

“Tuttavia, prima che l’accordo entri in vigore, sono necessari l’approvazione del Gabinetto, la firma e una notifica da parte di Trump al Congresso. Il governo ha sottolineato che non è stata presa alcuna decisione definitiva. Ma i progressi, per la prima volta da anni, indicano una crescente apertura da parte di Washington che consentirà ai sauditi di acquistare gli aerei Stealth di Lockheed Martin”, si legge nell’articolo.

Competizione militare

La richiesta di F-35 fa parte di colloqui più ampi. L’obiettivo dell’Arabia Saudita è quello di raggiungere un accordo di difesa formale e l’accesso alla tecnologia americana per sviluppare un programma nucleare civile.

Secondo il quotidiano Daderech “la richiesta diretta dell’Arabia Saudita a Trump segna un cambiamento nella politica americana, che finora si è astenuta dal vendere aerei F-35 ai Paesi arabi che non hanno ancora normalizzato i rapporti con Israele. Un simile accordo potrebbe mettere alla prova i limiti della politica israeliana del ‘vantaggio qualitativo’ militare e minare l’equilibrio di potere regionale”.

L’iniziativa fa parte di uno sforzo più ampio per firmare uno storico accordo di difesa tra Stati Uniti e Arabia Saudita, riporta il Financial Times. Come parte dell’accordo Washington dovrebbe fornire garanzie di sicurezza al Regno, simili a quelle fornite da Trump al Qatar dopo il fallito attentato israeliano a Doha.

Nelle ultime settimane Trump ha dichiarato di poter convincere l’Arabia Saudita a riconoscere Israele entro la fine dell’anno, ma secondo esperti citati dal New York Times “Bin Salman sta ora concentrando i suoi sforzi sul consolidamento dell’alleanza di sicurezza con Washington e sulla promozione del suo accordo sugli F-35, e non su una rapida normalizzazione dei rapporti con Gerusalemme”, si legge nell’articolo pubblicato dal quotidiano israeliano Daderech.

Il vantaggio qualitativo

Israele è attualmente l’unico in Medio Oriente a possedere i caccia F-35. Qualsiasi vendita di aerei a un Paese arabo viene esaminata dagli Stati Uniti per preservare il “vantaggio qualitativo” militare di Israele. E garantire così la sua egemonia.

Secondo Simone Chiusa, giornalista del centro studi Geopolitica.info “la sopravvivenza dello Stato ebraico dipende dalla capacità di difendersi dalle minacce dei suoi avversari regionali. Proprio in quest’ottica si posiziona il concetto di ‘qualitative military edge’, ovvero la capacità di contrastare qualsiasi minaccia militare attraverso il dispiegamento di mezzi superiori in termini di efficienza e numero rispetto a quelli di possibili avversari”.

Questa dottrina strategica è stata “istituzionalizzata come linea politica ufficiale nel 2008, stabilendo così l’obbligo legale per gli USA di garantire la superiorità militare di Israele rispetto a potenziali avversari in Medio Oriente”, riporta il centro studi.

“Al fine di garantire il qualitative military edge di Israele, il Congresso è tenuto a stilare un rapporto quadriennale sulla vendita di armamenti, determinando se tali accordi militari con gli Stati nella regione non influiscono negativamente su Tel Aviv”, scrive Chiusa.

Alleati e avversari

Eleonora Ardemagni, in un articolo per Aspenia online scrive: “Dalla prospettiva degli Stati Uniti, l’offerta di un patto di difesa dovrebbe agire da pungolo per spingere il Regno saudita alla normalizzazione con Israele. E sarebbe un ulteriore passo in avanti per la cooperazione economica e militare tra attori che percepiscono l’Iran come una minaccia comune, seppur con sfumature significativamente diverse”.

In più “l’arma del patto di difesa aiuterebbe Washington a fare pressioni su Riyadh affinché limiti, come gli Emirati Arabi, la cooperazione in tema di tecnologie e difesa con la Cina, vero spauracchio americano nel Golfo”, riporta la rivista.

Negli ultimi dieci anni i ruoli degli Stati arabi hanno cambiato notevolmente funzione. E la politica estera dell’Arabia Saudita ha trasformato la sua dipendenza dagli Stati Uniti a un vero approccio opportunistico. Secondo l’analisi del centro studi di geopolitica, Riyadh si inserisce all’interno della competizione tra le grandi potenze egemoniche facendo leva sul suo capitale politico, energetico e finanziario. Con l’obiettivo di massimizzare la propria autonomia e influenza regionale.

Per Bruna Tintori, giornalista di Geopolitca.info “l’ordine internazionale post-Guerra Fredda è messo in discussione dalla Repubblica popolare cinese e la Federazione russa che nutrono l’ambizione di costruire un sistema internazionale multipolare, facendo leva sull’apparente declino della potenza egemone, ossia gli Stati Uniti”.

Il mondo non è più lo stesso

Le conseguenze del mutamento si riflettono sui rapporti gerarchici.  Quindi direttamente sugli Stati sottoposti al dominio egemonico degli USA.

“È questo il caso dell’Arabia Saudita, che sembra aver adottato una postura orientata al cosiddetto ‘strategic hedging’, ossia ad una ‘non scelta’, bensì all’adozione di un atteggiamento di competizione e di cooperazione con i diversi attori regionali e internazionali, riducendo così il rischio di un definitivo allineamento strategico”, si legge nell’analisi di Bruna Tintori pubblicata dal centro studi di geopolitica.

Il tentativo degli USA di allontanare l’Arabia Saudita dalla Cina è fondato su una strategia commerciale competitiva che oggi sembra mettere a dura prova il dominio degli Stati Uniti.

È importante ricordare che la Cina detiene una parte consistente del debito pubblico americano. Ovvero possiede titoli di Stato emessi dal governo USA per finanziare la spesa pubblica.

Dal punto di vista economico, la Repubblica Popolare Cinese è anche uno dei principali partner commerciali dell’Arabia Saudita. E con il Regno ha stretto forti legami tecnico-scientifici come la difesa, l’Intelligenza Artificiale, la cybersecurity e il bio-tech. Tutti motivi per cui Trump ha ragione di preoccuparsi. Riyadh infatti sta giocando un ruolo importante all’interno di diversi sistemi economici.

I nuovi sistemi economici

“Dal punto di vista infrastrutturale e della connettività si muove abilmente tra la BRI cinese e IMEC a trazione statunitense, tentando di cementificare la propria posizione come ponte tra le economie globali. Il Regno saudita intende consolidare il proprio status economico e politico attraverso la piattaforma dei BRICS+”, riporta Geopolitca.info.

Durante il vertice di Johannesburg, nell’agosto 2023, l’Arabia Saudita è stata invitata ad aderire al gruppo. Anche se non ha formalmente accettato di entrare per cautela.

La piattaforma rappresenta però un ottimo strumento per implementare i progetti socioeconomici della Vision 2030, ovvero 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile attraverso il rafforzamento dei legami politici ed economici con l’Africa e l’America latina.

Aderire a questo sistema significa in qualche modo schierarsi contro quello dominante guidato dagli USA, che continuano a esercitare quel potere deterrente tanto utile contro i nemici.

Il potere deterrente degli Stati Uniti

“La politica estera del Regno saudita si è tradizionalmente caratterizzata per una diplomazia della cautela e dal punto di vista securitario dalla protezione fornita dagli Stati Uniti. La partnership tra Riyadh e Washington si è configurata come un rapporto di dipendenza, che si è intensificato a partire dagli anni ’80, quando, in linea con la cosiddetta ‘Dottrina Carter’, gli Stati Uniti fornivano ai paesi del Golfo sicurezza dalle minacce interne ed esterne in cambio della stabilità del mercato energetico globale”, analizza Bruna Tintori.

La costante necessità di protezione americana è emersa nel momento in cui i capitali globali, nello specifico quelli occidentali, hanno iniziato ad allontanarsi dal Regno, come ha evidenziato il World Investment Report del 2019.

In quel momento l’Arabia Saudita ha percepito la propria vulnerabilità e un’eccessiva esposizione ai rischi in assenza della deterrenza degli USA. E così anche i suoi nemici.

Nel 2019 l’Iran ha coordinato un attacco su larga scala agli impianti petroliferi di Abqaiq-Khurais. Nonostante la condanna da parte dell’amministrazione americana, gli Stati Uniti non hanno fornito il sostegno militare che avrebbe garantito al Regno saudita la protezione desiderata.

Per questo motivo oggi vendere gli aerei americani – che solo Israele ha in tutta la Regione – all’Arabia Saudita sembra davvero una strategia finalizzata a cambiare la geopolitica in Medio Oriente.

Valentina Vergani Gavoni
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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