APPROFONDIMENTI

Sudafrica/Israele, Francesca Albanese al Nelson Mandela Lecture: un’economia etica per cambiare il mondo

Speciale per Africa ExPress
Valentina Vergani Gavoni
28 ottobre 2025

La storia del continente africano insegna. Il colonialismo, le conseguenze post-coloniali e il processo che ha portato alla fine dell’apartheid in Sudafrica diventano uno specchio che riflette quello che sta accadendo in Medio Oriente.

La memoria è importante, non solo per l’Occidente. E gli insegnamenti dei grandi leader africani, come Nelson Mandela, sono indispensabili per ricordare al mondo che gli oppressi possono vincere contro i loro oppressori.

È stato infatti proprio il Sudafrica a presentare un’istanza formale alla Corte Internazionale di giustizia contro Israele il 29 dicembre 2023.

Ogni anno la Nelson Mandela Foundation organizza vere e proprie lezioni. E invita persone di spicco a guidare il dibattito su questioni sociali significative. Un ciclo di conferenze per non dimenticare che oggi, come ieri, la cooperazione è fondamentale per far valere il diritto internazionale.

In occasione della 23ª Nelson Mandela Annual Lecture in Sudafrica, il 23 ottobre scorso la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui Territori Palestinesi Occupati ha spiegato come il colonialismo sia strutturato all’interno del sistema economico capitalista.

Il rapporto di Francesca Albanese individua le aziende, le università, gli istituti e le banche che contribuiscono materialmente alla depredazione della terra palestinese.

Nonostante le sanzioni punitive emesse dagli Stati Uniti, la relatrice italiana è stata accolta come una degna rappresentante dei popoli oppressi.

“L’Occidente è una minoranza rispetto a tutto il resto del mondo”, ha affermato la giurista durante la conferenza del 25 ottobre 2025.

E durante la lezione del 27 ottobre 2025, focalizzata sul ruolo delle Università nella Lotta per la liberazione, ha annunciato la presentazione di un nuovo report che accusa gli Stati complici di collaborazionismo.

“In un’era di spese militari senza precedenti, l’aumento globale dei conflitti armati dimostra sempre più i legami tra affari, guerra e violazioni dei diritti umani – dichiara in un documento la Nelson Mandela Foundation e continua – il rapporto Dall’economia dell’Occupazione all’economia del Genocidio individua decine di aziende nei settori della difesa, della tecnologia, della finanza e delle costruzioni legate alle operazioni in Israele e nei territori palestinesi occupati, che traggono profitto dalla distruzione mentre le persone perdono case, vite e mezzi di sussistenza”.

La rivoluzione economica

La sfida “per questa generazione è rompere questi cicli e costruire economie che funzionino per la giustizia e la pace”, commenta l’organizzazione. L’obiettivo della lezione è quindi creare una piattaforma per analizzare la funzione del sistema capitalista nelle politiche coloniali ed “esaminare le domande sul tipo di economie che dovremmo costruire e sul ruolo delle imprese”.

L’esigenza di creare nuove economie deve però fondare le sue radici “nella giustizia, nella sostenibilità e nella dignità umana, e in cui innovazione e impresa contribuiscono alla pace anziché perpetuare la violenza”, sostengono gli eredi di Nelson Mandela.

“Migliorare la pace e la cooperazione globale”, queste sono le basi per costruire un sistema alternativo a quello dominante, promosse dai Paesi del Sud del mondo.

I nuovi leader africani

Una strategia già messa in atto anche dal primo ministro senegalese Ousmane Sonko che, lo scorso 13 settembre 2025, a Monza, ha presento il Piano di Ripresa Economica e Sociale (PRES) ai membri della diaspora senegalese in Europa.

Il PRES si basa su tre questioni principali: la sovranità economica, l’equità sociale e la razionalizzazione della spesa pubblica. Per farlo, il primo ministro senegalese punta a costruire una rete con partner economici internazionali.

La voglia di rivalsa nei confronti di quella parte del mondo che ha sempre perpetuato il suo dominio con la violenza, gli abusi e l’umiliazione è tanta. E leader politici come il presidente del Burkina Faso Ibrahim Traoré stanno diventando esempi da seguire ed emulare per i giovani africani della diaspora.

“L’istruzione è l’arma più potente per cambiare il mondo” diceva Nelson Mandela. E “le istituzioni educative, in particolare le università, svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere il pensiero critico, la consapevolezza politica e il dialogo pubblico.

Sempre più spesso, studenti e accademici interrogano il modo in cui queste istituzioni sono connesse e implicate nei più ampi sistemi politici e sociali, inclusi quelli relativi al contesto palestinese-israeliano”, dichiara la fondazione che ha ospitato Francesca Albanese.

Per la Nelson Mandela Foundation la funzione delle università nella liberazione è essenziale “per riflettere sul ruolo in evoluzione del mondo accademico nell’impegnarsi per la giustizia, i diritti umani e la solidarietà internazionale”.

Dobbiamo capire che questo sistema (economico) in Israele appare come un’apartheid globale. È transnazionale e gli Stati complici si proteggono a vicenda”, spiega la relatrice italiana delle Nazioni Unite.

Studiare il post-colonialismo

Il progetto di ripartizione economica e amministrativa della Striscia di Gaza, definito “Piano di Pace” dal presidente USA, presenta lo stesso programma di investimenti imprenditoriali della futura “Riviera di Gaza”. Un modello post-coloniale già esportato in precedenza.

La pressione mediatica ha solo costretto Trump e Netanyahu a cambiare metodo. L’annessione totale di Gaza e West Bank avrebbe innescato un cortocircuito ai danni della narrazione liberale democratica occidentale. E’ stato quindi necessario cambiare il punto di vista della storia.

Se fino al 7 ottobre 2025 Israele era accusato di genocidio, dalla notte dell’8 ottobre 2025 oltre 200mila vittime – tra morti, feriti e dispersi secondo l’ex capo di Stato maggiore dell’IDF Herzi Halevi, senza contare i 75 anni di colonizzazione precedenti – non compaiono più negli articoli giornalistici e nelle dichiarazioni politiche.

Si parla solo di pace. E nessuno può mettere in discussione i benefici procurati a qualcuno dai crimini commessi in questi due anni.

L’accusa di genocidio potrebbe non trasformarsi mai in una condanna. Se così fosse, non verranno mai arrestati i colpevoli. E Israele, supportato dagli Stati Uniti, continuerà a costruire colonie nei Territori occupati mentre a Gaza sorgerà la nuova “Dubai” palestinese.

Oggi come ieri: la memoria si dimentica

Il lavoro svolto da giuristi e figure istituzionali come Francesca Albanese, potrebbe non avere alcun effetto pratico. E il ruolo delle organizzazioni internazionali – create per tutelare il rispetto delle leggi – rischierebbe di perdere autorevolezza e valore giuridico.

Già nel 2022 Amnesty International – in un rapporto di 278 pagine – aveva denunciato il sistema di oppressione e dominazione di Israele nei confronti della popolazione palestinese. Ha svolto ricerche e analisi tra luglio 2017 e novembre 2021. E preso in esame i documenti ufficiali e pubblici, come gli archivi del parlamento israeliano, i documenti di pianificazione e divisione in zone, le proposte governative di legge finanziaria e le sentenze dei tribunali israeliani.

I casi di studio inclusi nel rapporto sono il frutto di decine di interviste con le comunità palestinesi in Israele e nei Territori occupati della Palestina, realizzate tra febbraio 2020 e luglio 2021.

Nel documento si legge “che le massicce requisizioni di terre e proprietà, le uccisioni illegali, i trasferimenti forzati, le drastiche limitazioni al movimento e il diniego di nazionalità e cittadinanza ai danni dei palestinesi fanno parte di un sistema che, secondo il diritto internazionale, costituisce apartheid”.

Giurisdizione universale

La ONG nel 2022 chiedeva al tribunale penale internazionale di “includere il crimine di apartheid nella sua indagine riguardante i Territori palestinesi occupati e a tutti gli Stati di esercitare la giurisdizione universale per portare di fronte alla giustizia i responsabili del crimine di apartheid”.

Israele, però, ha continuato a colonizzare senza tregua nella totale impunità.Che vivano a Gaza, a Gerusalemme Est, a Hebron o in Israele, i palestinesi sono trattati come un gruppo razziale inferiore e sono sistematicamente privati dei loro diritti”, aveva denunciato Amnesty.

“Le crudeli politiche delle autorità israeliane di segregazione, spossessamento ed esclusione in tutti i territori sotto il loro controllo costituiscono chiaramente apartheid. La comunità internazionale ha l’obbligo di agire”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale dell’organizzazione.

La storia raccontata dagli USA

La “pace” che ha portato Trump non condanna e non mette fine a un sistema edificato sull’oppressione razzista – istituzionalizzata e prolungata – di milioni di persone, portato alla luce da Amnesty.

Gli accordi firmati a Sharm El Sheikh il 13 ottobre 2025 non prevedono la sospensione di tutte le misure per negare deliberatamente i diritti e le libertà basilari ai palestinesi, Israele quindi continuerà a colonizzare il territorio palestinese. E ad applicare i trasferimenti forzati, la detenzione amministrativa, la tortura e le uccisioni illegali nel totale silenzio calato con l’arrivo della “pace in Medio Oriente”.

Il progetto di ripartizione economica e amministrativa della Striscia di Gaza, presentato da Trump, non esclude nemmeno i metodi repressivi utilizzati dall’IDF. Nel 2018, Amensty International aveva già denunciato come veniva punita qualsiasi volontà di resistere al colonialismo.

“I palestinesi di Gaza avviarono proteste settimanali lungo il confine con Israele per affermare il diritto al ritorno dei rifugiati e chiedere la fine del blocco. Ancora prima che le proteste avessero inizio, alti funzionari israeliani avvisarono che se si fossero avvicinati al confine sarebbe stato aperto il fuoco. Alla fine del 2019, le forze israeliane avevano ucciso 214 civili palestinesi, tra cui 46 minorenni”, si legge nel rapporto dell’organizzazione.

Gaza come West Bank

Non è nemmeno credibile il tentativo di garantire una “nuova casa” ai profughi palestinesi, come si legge nel cosiddetto piano di pace dato che “dalla sua costituzione nel 1948, Israele ha portato avanti politiche per istituire e mantenere una maggioranza demografica ebrea e per massimizzare il controllo sulle terre e sulle risorse a vantaggio degli ebrei israeliani. Nel 1967 Israele ha esteso tali politiche anche alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza”, scrive Amnesty.

La legge israeliana tratta il popolo palestinese come “un gruppo inferiore e separato, definito dal punto di vista razziale dallo status arabo e non ebraico. Questo concetto è stato esplicitato nel 2018 dalla legge costituzionale secondo la quale Israele è lo ‘stato-nazione del popolo ebreo’ e il diritto all’autodeterminazione è esclusiva del popolo ebraico – afferma l’ONG e continua elencando le pratiche di esclusione- Un’amministrazione razzista del suolo pubblico sancita dallo Stato ha escluso i palestinesi dall’affitto, dall’accesso o dal possesso della stragrande maggioranza dei terreni e delle abitazioni pubblici”. Oltre a negare i permessi per costruire e reclamare le loro case.

Questa legge non riconosce nessun’altra identità nazionale, nonostante i e le palestinesi rappresentino il 19 per cento della popolazione in Israele. La legge israeliana stabilisce così una “nazionalità ebraica” superiore e con uno status diverso da quello della cittadinanza, denuncia Amnesty.

Prima del 7 ottobre

“Oggi – riferito al 2022 quando è stato pubblicato il rapporto – tutti i territori controllati da Israele continuano a venire amministrati allo scopo di beneficiare gli ebrei israeliani a scapito dei palestinesi, mentre i rifugiati palestinesi continuano a essere esclusi”, riporta il documento.

Le autorità palestinesi guidate da al-Fatah in Cisgiordania e l’amministrazione di fatto di Hamas nella Striscia di Gaza operano sotto l’occupazione e il controllo militare di Israele. In alcune aree della Cisgiordania e della Striscia di Gaza il controllo palestinese è estremamente limitato, ad esempio dove vi sono insediamenti di coloni o checkpoint che limitano i movimenti.

Tutta la Cisgiordania e la Striscia di Gaza restano sotto controllo militare israeliano. Israele mantiene l’effettivo controllo su questi territori e sui palestinesi che vi abitano, sulle loro risorse naturali e, con l’eccezione della piccola frontiera meridionale di Gaza con l’Egitto, i loro confini terrestri e marittimi e il loro spazio aereo, si legge nel testo pubblicato da Amnesty.

Tre anni dopo, e un genocidio che in realtà non ha mai fermato nessuno, il territorio di West Bank è stato quasi colonizzato completamente dai coloni israeliani e quello di Gaza – di fatto – passerà nelle mani degli Stati Uniti.

Valentina Vergani Gavoni
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Valentina Vergani Gavoni

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