APPROFONDIMENTI

Israele: perché nessuno arresta Netanyahu?

Speciale Per Africa ExPress
Valentina Vergani Gavoni
2 ottobre 2025

Il diritto internazionale si sofferma sui crimini di guerra commessi da uno o più Stati sovrani, ma non prende in considerazione il metodo con cui vengono commessi.

L’errore più comune che molti fanno è paragonare il sionismo al nazismo, mettendo a confronto le due ideologie. C’è però un’enorme differenza che distingue la politica sionista da quella nazista: l’estorsione del consenso fondato sul beneficio del crimine, indotto dall’abuso psicologico per mezzo della falsificazione storica.

I sionisti hanno letteralmente cancellato dalla narrazione occidentale la storia, negando fatti e prove inconfutabili. Esattamente come stanno negando il genocidio, oggi, davanti a tutto il mondo.

Solo grazie a una ricostruzione accademica della realtà, precedente alla Shoah, è possibile identificare il metodo con cui hanno legittimato il colonialismo in Medio Oriente.

Ebrei vittime dell’abuso psicologico

In un’intervista riportata dal quotidiano israeliano Haaretz, lo storico e docente di Oxford Avi Shlaim racconta come è stato manipolato dai sionisti e in che modo è riuscito a riconoscere l’abuso psicologico: “A scuola ho imparato la versione sionista del conflitto e l’ho accettata senza riserve. Ero un israeliano patriottico; avevo fiducia nella giustezza della nostra causa. Pensavamo a Israele come a un piccolo Paese amante della pace, circondato da arabi ostili che volevano spingerci in mare. Credevo che non avessimo altra scelta che combattere”.

Avi Shlaim, alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni del 1967, fece domanda all’ambasciata israeliana a Londra per arruolarsi: “Mi sentivo parte del Progetto sionista. Volevo tornare e partecipare alla guerra che tutti sapevamo sarebbe arrivata”.

All’epoca era ancora uno studente di Cambridge. Ed è stata proprio l’università londinese ad avvicinare Avi Shlaim al sionismo. Ma le sue origini irachene non sono sioniste. Era nato infatti a Baghdad nel 1945 in una famiglia ebrea benestante e ben radicata, che si sentiva parte del mondo arabo.

“Eravamo prima iracheni, poi ebrei. A casa parlavamo solo arabo. La comunità ebraica era fortemente integrata nella società locale. La mia famiglia aveva molti amici cristiani e musulmani. Quando chiesi se avessimo amici sionisti, mi dissero di no, perché non facevano parte del nostro mondo”, spiega.

“La mia famiglia non è mai stata sionista. Il sionismo era un movimento di ebrei europei ed era destinato a loro. I suoi dirigenti non si sono mai interessati agli ebrei del mondo arabo. Consideravano il mondo arabo primitivo e culturalmente inferiore. Solo dopo l’olocausto il movimento sionista iniziò a cercare ebrei ovunque, incluso il mondo arabo. La mia famiglia non aveva alcun interesse per Israele e non voleva andarci”, si legge nell’intervista pubblicata dal quotidiano israeliano.

Immigrazione forzata in Palestina

Molte furono le strategie per estorcere il consenso degli ebrei e convincerli a emigrare verso la Palestina.

Forza di intimidazione, assoggettamento e omertà, sono i tre elementi costitutivi del colonialismo in Medio Oriente. Le prime vittime sono gli ebrei. Tanti non sono nemmeno consapevoli di esserlo perché i fatti storici vengono continuamente omessi dalla memoria.

Tra il 1950 e il 1951, una serie di attentati contro i siti ebraici a Baghdad furono determinanti per l’esodo di massa nel nuovo Stato sionista.

Baghdad, tra il1950 e il 1951

Il giornalista di Haaretz chiede quindi se è vero che gli attentatori fossero in realtà ebrei inviati dal Mossad per seminare paura e incoraggiare l’immigrazione: “Israele ha negato fermamente quelle voci e due commissioni d’inchiesta l’hanno scagionata da qualsiasi coinvolgimento”, afferma Avi Shlaim. Ma aggiunge: “Nella mia ricerca mi sono imbattuto in prove che indicavano chiaramente il coinvolgimento israeliano in quegli attentati”.

Manipolazione collettiva

I sionisti hanno falsificato la realtà storica per mezzo di un metodo che oggi è visibile a chiunque. Qualunque individuo – civile o rappresentante di un’istituzione – che osa ostacolare il progetto di espansione coloniale del Gande Israele, è vittima di ripercussioni economiche, politiche e militari gravissime.

Il terrore che chiunque possa diventare un “palestinese” da eliminare è reale. Quello che accade in Palestina può succedere ovunque, se Stati Uniti e Israele decidono di farlo.

L’esistenza dell’entità sionista è legittimata da una pseudo guerra razzista tra il mondo “civilizzato” contro gli “incivili da civilizzare”, così l’Occidente tutela il diritto all’autodifesa della colonia statunitense in Palestina: “Abbiamo lasciato l’Iraq da ebrei e siamo arrivati ​​in Israele da iracheni. Abbiamo perso la nostra considerevole ricchezza, il nostro elevato status sociale e il nostro fiducioso senso di orgoglio per la nostra identità di ebrei iracheni. Una volta in Israele, siamo stati sottoposti a un processo sistematico di de-arabizzazione e catapultati in un Paese straniero, dominato dagli Ashkenaziti (ebrei europei, ndr)”, racconta ancora Avi Shlaim.

Verità storica

Dopo il servizio militare si è trasferito in Inghilterra, dove vive dal 1996. Ha sposato una psicoterapeuta, Gwyn Daniel, e con lei ha iniziato a comprendere di essere vittima di un abuso psicologico: “Gwyn ed io concordiamo sul fatto che la Dichiarazione Balfour fosse un classico documento coloniale: ignorava i diritti e le aspirazioni del 90% della popolazione, che era palestinese. Anche dal punto di vista dell’interesse nazionale della Gran Bretagna, fu un colossale errore strategico”.

Dichiarazione Balfour

Lloyd George, all’epoca primo ministro del Regno Unito, “allineò la politica estera britannica a un piccolo gruppo di sionisti che circondava Chaim Weizmann (un dirigente sionista che fu il primo presidente di Israele), contro la volontà della comunità ebraica dominante in Gran Bretagna, e di molti degli ebrei nativi in ​​Palestina all’epoca”, continua Avi Shlaim.

“La semplice verità è che Israele iniziò la sua vita come movimento coloniale di insediamento – commenta lo storico e continua – Durante la guerra del 1948, Israele perseguì una pulizia etnica in Palestina. Nel giugno del 1967, Israele completò con la forza militare la conquista di tutta la Palestina storica. Quell’occupazione alla fine trasformò Israele in uno Stato di apartheid. I palestinesi furono le vittime del Progetto Sionista“.

Ricostruzione della memoria

Shlaim ha studiato storia a Cambridge, ha insegnato a Reading ed è diventato professore a Oxford. Solo grazie a una rigorosa ricerca accademica ha smascherato tutte le menzogne tramandate di generazione in generazione. Nel 1982 non si aspettava di trovare negli archivi di Stato israeliani a Gerusalemme una verità che avrebbe profondamente cambiato la sua visione del mondo.

“Per un anno intero ho letto documenti dalla mattina fino all’orario di chiusura. È stato allora che mi sono radicalizzato. Da sionista patriota sono diventato sempre più critico nei confronti di Israele e dell’occupazione, fino a quando non sono più riuscito a identificarmi con essa”, afferma.

“Quello che ho letto lì non corrispondeva a ciò che mi era stato insegnato a scuola: che gli ebrei erano sempre vittime; che Israele era sempre la vittima; che il 1948 era un genocidio mirato a gettare gli ebrei in mare; che eravamo pochi contro molti; che il mondo arabo era unito contro di noi; e che i dirigenti israeliani cercavano di fare la pace ma non avevano alcun alleato dalla parte araba. Credevo a tutto questo, ma negli archivi ho trovato una verità diversa. Il quadro che ne è emerso era completamente in contrasto con la storia ufficiale. I documenti che ho scoperto erano scioccanti, sorprendenti e stimolanti”, spiega Avi Shlaim.

Confronto tra realtà e menzogne

“A scuola ho imparato che tutti gli arabi rifiutavano il Progetto Sionista e che sette eserciti arabi avevano invaso la Palestina nel 1948 per distruggere lo Stato ebraico sul nascere. Ma ho trovato documenti sugli incontri segreti tra Re Abdullah (Re di Giordania) e l’Agenzia Ebraica, a partire dal 1921, e prove di un dialogo e di una cooperazione di lunga data”, commenta lo storico.

“Abdullah non smise di parlare con gli ebrei fino al suo assassinio nel 1951. C’era di più: il presidente siriano Husni al-Za’im voleva incontrare David Ben-Gurion faccia a faccia, scambiare ambasciatori e normalizzare le relazioni. Aveva delle richieste, sì, ma Ben-Gurion si rifiutò di incontrarlo. Il divario tra la mitologia sionista e la realtà storica è ciò che mi ha reso un ‘nuovo storico’ – racconta e aggiunge – Israele non ha mai veramente voluto appartenere al Medio Oriente. Si considera un Paese dell’Europa occidentale”.

“Gli ebrei Mizrahi (di origine mediorientale) avrebbero potuto essere un ponte tra Israele e il mondo arabo, ma i dirigenti sionisti non hanno mai voluto quel ponte. Herzl (padre fondatore del sionismo) immaginava lo Stato Ebraico in contrasto con la barbarie orientale. Lo stesso vale per Ben-Gurion e Netanyahu, che incarnano l’alienazione e il rifiuto di far parte della regione, nonché una mancanza di interesse per la coesistenza”, sottolinea.

“Nessuna nazione ha il ‘diritto all’esistenza’ secondo il Diritto Internazionale e Israele non fa eccezione. Il ‘diritto all’esistenza’ di Israele non è un diritto legale, ma uno slogan ideologico ed emotivamente carico”, riporta il quotidiano israeliano. “Dal 1967 Israele ha politicizzato e strumentalizzato l’espressione per ostacolare i colloqui di pace e diffamare come antisemiti coloro che si rifiutano di riconoscere il diritto”.

Nell’intervista pubblicata da Haaretz si legge: “La fondazione dello Stato di Israele era legata a una grande ingiustizia nei confronti dei palestinesi. I funzionari britannici ne erano amareggiati. Il 2 giugno 1948, un alto funzionario del ministero degli Esteri scrisse al ministro degli Esteri, Ernest Bevin, che gli americani erano responsabili della creazione di uno ‘Stato criminale’ guidato da un gruppo di autocrati totalmente senza scrupoli’. Una volta pensai che quelle parole fossero troppo dure. Ma a quanto pare ciò che inizia in modo disonesto, rimane disonesto”, conclude Avi Shlaim.

Sionismo: le due facce della stessa medaglia

Il sionismo, però, ha due volti: quello estremista di Trump e Netanyahu, e un altro più moderato che si nasconde dietro alla maschera della civiltà occidentale democratica e liberale.

Mentre i sionisti cattivi fanno “il lavoro sporco”, come ha dichiarato il primo ministro israeliano all’assemblea generale delle Nazioni Unite lo scorso 26 settembre 2025, quelli buoni fingono di riconoscere uno Stato palestinese che non avrà mai di fatto il diritto all’autodeterminazione, smilitarizzato e guidato da un governo fantoccio stabilito dall’Occidente.

Con la scusa di Hamas e il pericolo che rappresenta per l’esistenza di uno Stato sionista in Medio Oriente, entrambi – sionisti estremisti e moderati – continuano a legittimare i propri interessi economici.

Mentre da una parte il governo di estrema destra israeliano mira ha eliminare il partito politico di resistenza palestinese, dall’altra la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e la Commissione europea hanno annunciato in occasione dell’assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, la firma con l’Autorità monetaria palestinese (PMA) di una linea di credito da 400 milioni di euro volta a sostenere la ripresa economica e la resilienza del settore privato in Palestina.

Il progetto economico

Il finanziamento della BEI sarà veicolato attraverso banche partner e istituti di microfinanza locali che potranno offrire prestiti a condizioni favorevoli alle imprese ammissibili.

Con una concessione complessiva fino a 1,6 miliardi di euro per il periodo 2025-2027, il programma prevede 620 milioni di euro in sovvenzioni a sostegno dell’Autorità monetaria palestinese, 580 milioni di euro destinati a progetti concreti per promuovere la resilienza e favorire della ripresa in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza (laddove le condizioni lo consentano), e la linea di credito della BEI da 400 milioni di euro, garantita dalla Commissione europea, a sostegno del settore privato palestinese.

“La stabilità economica e finanziaria della Palestina è una priorità per l’Unione europea e fa parte del nostro impegno per una pace duratura e sostenibile, fondata sulla soluzione a due Stati,” ha affermato la presidente del Gruppo BEI Nadia Calviño.

L’alternativa alla totale annessione territoriale sembra quindi perseguire gli stessi interessi coloniali nella regione, recuperando in questo modo il consenso della società civile.

Valentina Vergani Gavoni
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