A destra Rawan Odeh, giornalista palestinese di West Bank
Valentina Vergani Gavoni
29 settembre 2025
Lo Stato di Palestina è riconosciuto da 157 Stati dell’ONU su 193, ma solo esclusivamente alle condizioni occidentali: niente esercito, e con la sola autorità politica concessa dall’Occidente. Esattamente come il post colonialismo in Africa.
Il rischio che la Palestina diventi l’ennesimo “Stato fantoccio” governato da esponenti locali corrotti, che hanno la sola funzione di garantire gli interessi delle ex colonie, è altissimo. E l’Autorità Nazionale Palestinese, creata per collaborare con lo Stato occupante contro ogni forma di resistenza all’occupazione, è oggi l’unica forza politica riconosciuta dalle Nazioni Unite.
Dopo 77 anni di colonialismo, i palestinesi avrebbero così un governo fantoccio, smilitarizzato, senza il loro consenso. E non diventerebbero mai proprietari della terra che gli appartiene.
Con il cambio dell’amministrazione negli Stati Uniti, che da un sionista moderato come Biden è passata all’estremismo di Trump, il progetto coloniale in Medio Oriente ha subito un’accelerazione senza precedenti.
Molti governi occidentali sono stati costretti a recuperare il consenso del popolo a causa di una condotta politica troppo esplicita, facendo però attenzione a mantenere in equilibrio i rapporti con Israele.
Le dichiarazioni a favore del riconoscimento dello Stato di Palestina, infatti, non hanno nessun impatto pratico sulla fase finale del progetto coloniale.
Emerge però un conflitto tra il sionismo moderato e quello estremista, portati avanti entrambi con lo stesso obiettivo: prendere il totale controllo della terra palestinese, in un modo o nell’altro.
Africa ExPress ha intervistato Rawan Odeh, una reporter di تلفزيون فلسطين Palestine TV che lavora sotto occupazione armata, dentro le mura che circondano la Cisgiordania.
Oggi i giornalisti italiani si sentono più liberi di criticare i governi di destra degli Stati Uniti e di Israele, come se i sionisti di sinistra avessero progetti coloniali più moderati e quindi internazionalmente più accettabili. Cosa ne pensi?
Alla fondazione dello Stato di Israele dopo il mandato britannico, l’ONU ha concesso il diritto di insediare terre ebraiche sulla terra dei palestinesi. I proprietari originali sono stati cacciati dai loro villaggi con la collusione e il finanziamento dei Paesi occidentali, compresa l’America. Il processo di sfollamento continua anche ora a spese del mio popolo.
L’Occidente e gli USA, oltre a società private che hanno effettivamente finanziato insediamenti illegali in Cisgiordania, continuano a supportare economicamente Israele nella sua guerra di sterminio a Gaza.
Il cambiamento politico è iniziato con alcuni governi occidentali, come la Spagna, la cui posizione sul genocidio in corso a Gaza è più esplicita. La portata dei crimini che avvengono nella Striscia ha spinto alcuni di questi governi a criticare certe pratiche portate avanti da Israele, senza però definire questi crimini con il loro nome.
Le critiche non hanno impedito a Israele di combattere la sua guerra disumana contro il popolo di Gaza. E allo stesso tempo, è emersa la vera natura del sostegno di questi Stati all’entità israeliana: armi, forniture militari, e interessi economici di molte aziende occidentali che supportano Israele in questo genocidio.
Nonostante le promesse di molti Paesi di riconoscere lo Stato di Palestina, attualmente in Cisgiordania è in corso lo sfollamento di palestinesi più intensivo dalla guerra della Nakba del 1967. Ed è stato registrato il numero più alto di attacchi da parte dei coloni.
L’Autorità Palestinese collabora con Israele, Hamas ha interessi politici che vanno oltre la Palestina, e le voci degli ebrei antisionisti sono spesso più censurate di quelle dei palestinesi perché distruggono il racconto coloniale dall’interno. E’ sufficiente semplificare la narrazione giornalistica per liberare veramente la Palestina?
Non credo sia possibile semplificare la narrazione palestinese, ma può essere scomposta in frammenti. Ciò che sta accadendo non può essere descritto come una partita di calcio tra due squadre: è più complicato di così. Se chiedi a qualsiasi palestinese o giornalista come me, ti daranno la stessa risposta.
In altre parole, possiamo discutere delle azioni e degli eventi quotidiani perpetrati dall’esercito di occupazione, tra cui demolizioni di case, attacchi dei coloni, incendi di ulivi, chiusura dei posti di blocco e molto altro ancora.
Israele sta facendo tutto il possibile per prendere più terra e spostare i palestinesi. E ci renderà la vita sempre più difficile per indurci a fuggire dalle nostre case. Tuttavia, il nostro amore per la Palestina è più grande.
Per quanto riguarda i giornalisti palestinesi, stiamo cercando di dimostrare la verità e far vedere la realtà al mondo. Non recitiamo il ruolo della vittima. Noi abbiamo una responsabilità maggiore nel mostrare la sofferenza, aiutare le famiglie e pubblicare le immagini. Lo dobbiamo fare nonostante i pericoli, la detenzione, le ferite o il martirio.
La professione giornalistica in Palestina è diventata un reato per lo Stato di Israele, perché non vogliono che pubblichiamo la verità. E vogliono uccidere qualsiasi speranza per l’istituzione di uno Stato palestinese.
La mancanza di informazioni nei notiziari occidentali fa sì che non vengano menzionate molte notizie sulla Cisgiordania, nel frattempo Israele continua a commettere tutte queste atrocità. Il 7 ottobre è stato un pretesto per rendere la nostra vita impossibile su questa terra.
È come una guerra silenziosa qui a West Bank. E noi, giornalisti palestinesi, stiamo cercando di diffondere le informazioni per cercare di fermare Israele.
Cosa significa fare la giornalista sotto occupazione armata?
Il vero giornalismo oggi significa trasmettere la verità in modo semplice e senza pregiudizi, comunicando le notizie, trasmettendo la sofferenza e la difficile realtà quotidiana del nostro popolo.
Significa continuare a farlo senza fermarsi, e comunicare ciò che accade in Cisgiordania. Dagli sgomberi alla distruzione delle abitazioni, agli attacchi dei coloni. E persino a Gaza, alla luce dell’assedio, delle stragi quotidiane e della fame che attualmente è la più alta al mondo.
Nessuno può fare tutto ciò se non c’è un sostegno significativo, specialmente a Gaza. Pertanto, gli sforzi devono essere intensificati, sia dai media palestinesi che da quelli internazionali, per cercare di trasmettere la verità e fermare Israele dai suoi piani per impedire la realizzazione dei due Stati.
Il vero giornalista continua a coprire tutti gli eventi così come sono, costantemente. Ci sono momenti in cui il giornalista deve prendere posizioni reali. E non deve esserci nessuna spettacolarizzazione della realtà o occultamento di una parte della verità, né prendere parte delle notizie senza una preconoscenza degli eventi completi.
Il giornalista deve essere imparziale nell’uso di alcune frasi e termini giornalistici che riducono l’importanza degli eventi e deve comprendere le radici della causa palestinese. Ci chiediamo però se il mondo libero ci vede come il resto dell’umanità, e non come numeri o tendenze, ma come la storia della sofferenza palestinese. Ci domandiamo se riconosce l’importanza delle persone che hanno influenzato non solo Gaza, ma la società di tutto il mondo. E che avevano ancora molto da offrire in questa vita e alla Palestina.
Come Odeh al-Hazeleen di Masafer Yatta, ucciso da un colono israeliano all’interno di un centro culturale per bambini. Anche questo assassino non è stato punito. Mentre 21 degli abitanti del villaggio, che avevano partecipato al film “No the Other Land”, sono stati arrestati la notte stessa dell’omicidio di Odeh.
Se l’umanità è ciò che muove il mondo, occorre una posizione netta e realistica più forte per fermare l’uccisione del mio popolo.
Se un giorno lo Stato di Palestina verrà riconosciuto, chi lo governerà? L’Autorità Palestinese collabora con Israele e non ha il consenso dei palestinesi. Per Hamas invece è difficile ottenere il riconoscimento degli Stati occidentali. C’è quindi un altro partito politico che può presentarsi alle elezioni?
Noi, come popolo palestinese, siamo gli unici che hanno il diritto di scegliere i leader che ci rappresentano, indipendentemente dalla fazione a cui appartengono, sia essa Hamas, Fatah, il Fronte Popolare, o altre forze indipendenti. Nessun Paese al mondo dovrebbe imporre restrizioni o una leadership a coloro che rappresentano la Palestina.
Perché Israele sceglie i propri leader, nonostante la maggior parte dei suoi ministri siano criminali di guerra condannati dall’Unione Europea? A proposito, il governo di Israele è sempre di estrema destra.
Vorrei anche capire quanto sia difficile denunciare la corruzione dei vostri politici.
Credo che la corruzione politica esista nella maggior parte dei Paesi del mondo e non è una novità, ma alla luce dell’occupazione e dell’incapacità dell’Autorità Palestinese di estendere il suo controllo su qualsiasi parte dei territori palestinesi, diventa difficile affrontare questa questione. Specialmente se consideriamo le restrizioni imposte da Israele all’ANP, la confisca dei suoi fondi e l’impossibilità dell’Autorità di fornire gli stipendi ai dipendenti per mesi.
Per noi raffigura solo una presenza di agenti di polizia che mantengono la sicurezza sociale, nient’altro, e un’entità che ci rappresenta davanti al mondo esterno. Tuttavia, siamo un popolo che vive sotto occupazione e non abbiamo una vera entità indipendente sul terreno. L’Autorità è simbolica.
Inoltre, noi, come popolo, stiamo attualmente affrontando il più grande sfollamento di palestinesi in Cisgiordania dal 1967 (la Guerra della Nakba). Uno trasferimento forzato di circa 60.000 persone fino ad oggi.
Più di 22 nuovi insediamenti illegali stanno per essere costruiti sulla nostra terra, sorvegliati dai gate israeliani, di fronte a tutte le città e i villaggi palestinesi. In questo modo ci stanno isolando all’interno di prigioni a cielo aperto, controllate dai militari israeliani posizionati all’ingresso di ogni checkpoint.
Stanno cambiando significativamente la mappa della Cisgiordania.
Valentina Vergani Gavoni
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