RUANDA

Ruanda, mondiali di ciclismo su strada: parola d’ordine, solo bici e niente politica

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
25 settembre 2025

Tra 94 biciclette, 700 borracce, mille gel, pezzi di ricambio, il campione Remco Evenepoel e i suoi compagni della squadra belga in partenza da Bruxelles per il Ruanda, che ospita il primo campionato mondiale di ciclismo in terra africana, solo una persona non ha trovato posto: Stijn Vercruysse, giornalista dell’emittente pubblica fiamminga VRT. Al banco del check-in, il 18 settembre, gli è stato negato l’imbarco. Perchè?

Escluso giornalista belga

La spiegazione l’ha data il ministro degli Esteri ruandese in persona, Olivier Jean Patrick Nduhungirehe, 50 anni: “Non è un è un giornalista sportivo. Aveva dichiarato ai media belgi di avere programmato di produrre un reportage critico sul Paese ospitante, che in definitiva è un regime molto autoritario”.

Ruanda: mondiali di ciclismo su strada

Come si possono collegare queste intenzioni politiche  a una competizione ciclistica internazionale? “La VRT ha compiuto un rozzo tentativo di inganno – ha continuato il ministro –  perché ha chiesto l’accreditamento per un giornalista politico noto per le sue ‘posizioni sistematicamente ostili nei confronti del Ruanda’ per coprire quello che è  un evento sportivo”. Insomma: nella lista nera perchè andava fuori…strada.

“Quando lo sport entra nella stanza, la politica esce dalla finestra”:  ha scritto qualche giorno dopo una delle voci del regime ruandese, il Taarifa.rw

Durante il ventennio fascista alle pareti delle osterie era appeso il cartello: ”Non si bestemmia, non si sputa per terra e non si parla di politica”. Fatti i debiti cambiamenti, vale anche per il Ruanda, intento a celebrare un suo evento epocale: è la prima nazione africana a ospitare, dal 21 al 28 settembre, i Campionati del mondo di ciclismo su strada.

Silenziare critiche

Sulle bestemmie e sugli sputi, non abbiamo prove inconfutabili. Sul fatto che il fruscio delle due ruote mondiali tenti di coprire le urla del silenzio di un genocidio e di silenziare voci critiche, c’è poco da dubitare.

E’ noto che il Ruanda non gode di buona stampa. Nel World Press Freedom Index, l’indice che misura la libertà di stampa nel mondo, il piccolo Paese centrafricano (poco più vasto della Sicilia) si classifica al 146° posto. Ma in politica la situazione è ancora più grave.

UE condanna arresto oppositrice

Otto giorni prima, l’11 settembre, il Parlamento europeo aveva condannato duramente l’arresto, avvenuto il 19 giugno, di Victoire Ingabire Umuhoza, 56 anni, storica leader dell’opposizione politica e presidente del partito DALFA-Umurinzi “per la partecipazione a una sessione di formazione sulle strategie pacifiche per resistere all’autoritarismo”.

Victoire Ingabire Umuhoza, oppositrice del regime ruandese

L’Assemblea di Strasburgo aveva espresso profonda preoccupazione per “i ricorrenti abusi nei confronti di partiti ed esponenti dell’opposizione, giornalisti, attori della società civile e dissidenti, in violazione degli obblighi internazionali in materia di diritti umani che incombono al Ruanda”.

Qualcuno si è preoccupato della sorte di questa donna già imprigionata per 6 anni, poi graziata e poi di nuovo incarcerata con l’accusa ridicola e impossibilitata a difendersi? Quattro giorni dopo ne ha parlato, sdegnosamente, il Parlamento ruandese “respingendo le interferenze nel sistema giudiziario di uno stato sovrano”.

I media mondiali hanno quasi tutti taciuto, soprattutto quelli sportivi (lo sport prima di tutto!). E il popolo ruandese? Il Popolo, come canterebbe Guccini “nei convitti e in piazza lascia i dolori”. Il carnevale ciclistico impazza.

Eh sì perchè il Rwanda Development Board (RDB) ha annunciato che “durante il periodo del campionato tutte le attività commerciali, dai centri commerciali e ristoranti ai bar e locali notturni, potranno chiudere alle 4 del mattino. L’obiettivo è di accogliere migliaia di atleti, tifosi e visitatori, sostenere il settore dell’ospitalità e gestire il flusso di traffico irregolare previsto per tutti i giorni dell’evento”.

Paese più sicuro del continente

Ovviamente, nel Paese più sicuro dell’Africa, come si definisce, “nonostante  l’estensione degli orari, le regole esistenti rimangono in vigore. Le attività commerciali devono mantenere il rumore al di sotto dei 55 decibel durante la notte, evitare di servire alcolici ai minori di 18 anni e rifiutare il servizio ai clienti visibilmente ubriachi”.

“Questo cambiamento di orario segna una svolta – riconoscono ufficialmente le autorità – dopo due anni di turbolenze innescate dal coprifuoco imposto nel settembre 2023, quando il governo limitò la vita notturna alle ore 1 nei giorni feriali e alle 2 nei fine settimana. Quello che era iniziato come un tentativo di controllare l’inquinamento acustico si trasformò in una crisi sociale ed economica”.

Cronaca locale

Comunque, le cronache locali sono diventate quasi liriche nel descrivere i mondiali della bicicletta per la prima volta sbarcati nel Continente nero in 103 anni di storia dell’evento sportivo:

“La cerimonia di apertura mostra lo scintillante centro congressi di Kigali, la folla che sventola bandiere e i volontari sorridenti. I commentatori elogiano il Ruanda come modello di progresso. Kigali profuma di strade appena asfaltate e caffè tostato. Il percorso di gara si estende dal cuore di Kigali fino ai sobborghi verdeggianti, un nastro di asfalto pulito e liscio che si snoda tra colline d’alta quota. Gli spettatori – famiglie, studenti e anziani – si allineano lungo il percorso sventolando bandiere e cantando mentre i corridori sfrecciano. Al tramonto, la festa non si ferma. Kigali si illumina di luci al neon e risate. La musica risuona; il profumo degli spiedini alla griglia si mescola all’aroma del caffè appena fatto e della birra locale.

Dalle vivaci strade di Remera agli angoli più affollati di Kicukiro, dai cori degli stadi che riecheggiano per Nyamirambo alle terrazze dei caffè di Kacyiru, la città pulsa di energia”.

Tutto (o quasi) vero, come si è potuto vedere anche dalle immagini televisive.

Sportwashing

Il successo di immagine è innegabile. La vetrina mondiale è stata abilmente costruita e lucidata dal sempiterno presidente Paul Kagame (in carica dal  2000!), un maestro nell’usare lo sportwashing, ovvero l’uso dello sport per migliorare l’immagine, sporca o sfocata, del governo e della nazione.

Sono quasi 800 i ciclisti (769 per la precisione, 27 italiani) provenienti da 108 Paesi che si stanno sfidando lungo le celebrate mille colline del Ruanda. Ben 36 sono gli Stati africani orgogliosamente presenti al grande evento planetario e questo è un merito da riconoscere: il ciclismo in molte parti è in forte crescita; in altri, come la Tunisia, le cicliste sono appena una decina! (lo ha ricordato una giovane atleta magrebina, Alma Abroud, parlando con RFI).

Il duello tra Remco Evenepoel e Tadej Pogacar, già visto domenica 21 settembre, si ripeterà il 28 nella gara in linea, la più importante. Gli organizzatori calcolano che il pubblico mondiale su schermi grandi e piccoli sia di 300 milioni di persone. Nel sito ufficiale proclamano che si tratta di uno dei mondiali più duri della storia per quanto riguarda la corsa dei professionisti (267,5 km con 5.475 mt di dislivello.

Grandi nomi assenti

Nessuna parola sul fatto che tanti altri nomi di primo piano del ciclismo mondiale (a cominciare da Jonas Vingegaard) abbiano deciso di stare a casa adducendo ragioni climatiche, ambientali, finanziarie (per un comune mortale il viaggio in Ruanda di una settimana costa non meno di 5 mila euro).

Guerra in Congo-K

Ci si dimentica, però di quanto dichiarato a luglio, Els Hertogen, 49 anni, direttrice dell’organizzazione umanitaria  belga 11.11.11: “Un campionato mondiale di ciclismo su strada in Ruanda, mentre cadaveri cadono a terra nel Congo orientale, la gente si nasconde e le famiglie vivono nella paura mortale? Mentre lo stesso Ruanda ha reciso ogni rapporto diplomatico con il Belgio ed espelle i difensori dei diritti umani? “

Quasi nessuno, neppure gli stranieri che vivono a Kigali (come è stato confermato ad Africa Express) osano fare il minimo cenno critico, anche sulle chat, al clima asfissiante che si respira nel Paese

E chi si ricorda dell’Umuganda? E’ la giornata di lavoro obbligatoria alla quale tutte le persone tra i 18 e i 65 anni devono sottostare l’ultimo sabato del mese. Diverse le attività imposte dal governo e pare accettate con entusiasmo (!) dalla popolazione:  smaltire i rifiuti, asfaltare le strade, aiutare i più bisognosi…

Povertà nelle zone rurali

Che devono essere tanti. Come ha confermato nell’intervista a Ettore Giovannelli su Rai 2 (domenica 21 settembre), un giovane italiano, Enrico, bolognese, che vive e lavora a Kigali per una società di consulenza: “Collaboriamo spesso con il governo per valutare ciò che funziona e non funziona nel Paese, che è molto aperto all’innovazione e allo sviluppo. Purtroppo esiste un divario profondo: nella capitale il livello di vita è alto. Fuori, la maggior parte della popolazione mangia una volta al giorno, se le va bene”. (Kigali ha 1 milione e 200 mila abitanti, circa, il Rwanda poco più di 14 milioni, ndr)

La vittoria di Evenepoel, nel primo giorno di gare, dopo il doppio oro olimpico a Parigi e il podio al Tour de France del 2024, è stata scientificamente sfruttata dal Potere. “Il linguaggio dello sport – velocità, resistenza, trionfo – trascende confini e controversie, offrendo un raro scorcio di unità. Tifosi ruandesi e ospiti erano fianco a fianco, uniti dallo spettacolo della gara e dall’emozione pura della competizione”. Insomma, vogliamoci tutti bene, nel nome della bici. Niente politica per carità. Quando entra lo sport,  la politica deve starne fuori. Almeno in certi Paesi.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Costantino Muscau

View Comments

  • I belgi si rivedano i fatti propri, ché Kigali è più sicura di Bruxelles.
    I congolesi invece si ricordino che chi di spada ferisce di spada perisce.

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