Eric Salerno
24 settembre 2025
“Nei miei 20 anni di esperienza come avvocato esperto di media, ho sempre considerato gli Stati Uniti il punto di riferimento per la libertà di stampa, un modello ammirato dai giornalisti di tutto il mondo”, ha scritto giorni fa sul Guardian, Kai Falkenberg consulente legale dell’importante giornale. Il primo emendamento della Costituzione americana, finora considerato da tutte le democrazie un modello da seguire, garantisce oltre alla libertà di religione, e di parola, quella fondamentale di stampa.
Nemmeno il Congresso può emanare leggi che limitino queste libertà. Trump sta provando di aggirare la Costituzione con sistemi che vanno da assurde cause miliardarie ai giornali che non si mettono in ginocchio di fronte a proclami come quello recentemente emanato dal Dipartimento della Difesa (da lui cambiato in Dipartimento della Guerra).
I giornalisti che seguono il Pentagono, secondo le nuove disposizioni, dovranno promettere che non raccoglieranno alcuna informazione – anche non classificata – che non sia stata espressamente autorizzata per il rilascio, e revocherà le credenziali della stampa di coloro che non obbediscono. Ossia solo possedere informazioni riservate, secondo le nuove regole, sarebbe motivo di revocare il pass stampa di un giornalista.
Le reazioni del mondo della stampa sono state immediate. Per Mike Balsamo, presidente del National Press Club si tratta di “…un assalto diretto al giornalismo indipendente nel settore in cui il controllo indipendente conta più dell’esercito degli Stati Uniti”.
Balsamo ha continuato: “Per generazioni, i giornalisti del Pentagono hanno fornito al pubblico informazioni vitali su come si combattono le guerre, su come vengono spesi i dollari della difesa e su come vengono prese decisioni che mettono a rischio le vite americane. Quel lavoro è stato possibile solo perché i giornalisti potevano cercare i fatti senza bisogno del permesso del governo”.
Quando non è sufficiente, i nemici della democrazia ricorrono ad armi più tradizionali: Dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas al sud di Israele fino all’agosto 2025, almeno 246 reporter sono stati uccisi dalle forze israeliane. Sono cifre di fonte palestinese in gran parte confermate da reti televisive o radiofoniche che avevano trasmesso i loro filmati e i loro racconti dalle zone di guerra.
Il mondo della carta stampata è agonizzante. Le cifre salvano, di poco, le versioni in rete dei quotidiani più importanti sia in Italia che nel resto del mondo. I giornalisti – come i tipografi qualche anno fa per colpa delle trasformazioni tecnologiche, sono le prime vittime insieme con il grande pubblico che vuole sapere, cercare di capire le realtà dei loro Paesi e del sistema globale che incide sempre di più sul nostro mondo, spesso in modo negativo.
Il progresso, prima radio poi televisione accoppiato ai social che imperversano, sta accelerando la fine della figura stessa del giornalista. Il tempo materiale per capire prima di raccontare è da anni drammaticamente calato. Siamo passati nel giro di una generazione da quando l’inviato di un giornale andava, osservava, cercava di capire e poi al ritorno in redazione aveva il tempo di ragionare prima di scrivere.
Tempi velocizzati e soldi disponibili sempre più ridotti hanno trasformato il giornalista in una specie di twitter per un pubblico sempre meno disponibile a seguire gli approfondimenti. Crollano le vendite dei quotidiani, anche quelli più importanti. Crollano anche il numero delle persone che cercano di seguire e capire attraverso radio e TV.
Le fake news, le notizie false propagate per influenzare il vasto pubblico, sono sempre meno contrastate da chi, per missione, si dedica a raccontare fatti prima di presentare analisi e conclusioni. Il mitico slogan del New York Times che leggevo da ragazzo a New York, “All the news that’s fit to print”, è sempre meno credibile. Era stato creato l’allora proprietario Adolph S. Ochs nel 1896/1897 per dichiarare l’impegno del suo giornale verso un giornalismo equo, imparziale e di alta qualità, distinguendolo dal sensazionalismo del “giornalismo scandalistico” dell’epoca.
“Dopo un secolo di graduale espansione dei diritti di stampa negli Stati Uniti, il Paese sta vivendo il primo significativo e prolungato declino della libertà di stampa nella storia moderna, e il ritorno di Donald Trump alla presidenza sta aggravando notevolmente la situazione”, si legge nel World Press Freedom Index 2025.
In 160 dei 180 Paesi valutati, le testate giornalistiche raggiungono la stabilità finanziaria “con difficoltà” o “per niente”. Nella classifica globale della libertà di stampa l’Italia è scesa al 49° posto su 180 Paesi, perdendo tre posizioni rispetto all’anno precedente e attestandosi come peggior risultato tra i Paesi dell’Europa occidentale. La classifica globale della libertà di stampa nel 2025 ha raggiunto un minimo storico.
Eric Salerno
Eric2sal@yahoo.com
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