Tunisia, la giornalista Chadha Hadj Mbarek e Abir Moussi, leader del Partito Desturiano Libero
Dalla Tunisia pubblichiamo il contributo di un intellettuale
che conosce il Paese dal vivo.
Per motivi di sicurezza lo abbiamo chiamato John Doe.
Tra gli oppositori ci sono molte donne coraggiose,
avvocate, giornaliste, attiviste che lottano
contro i giri di vite del regime del presidente Kais Saied.
Non vogliono rinunciare alle libertà conquistate
e, per il loro impegno civile, vengono criminalizzate e incarcerate.
Speciale per Africa ExPress
John Doe
3 settembre 2025
Scrivo queste righe con amarezza e sotto pseudonimo. Vivo da molti anni in Tunisia, un Paese che amo profondamente e dove ogni giorno ascolto nei caffè e nelle strade le voci della gente. Comprendo l’arabo e colgo il malcontento diffuso e la paura che si respira.
Oggi chiunque osi esprimere un’opinione che contrasti, anche lontanamente, con la linea del regime del presidente Kais Saied rischia grosso: processi, prigione, isolamento. Non si tratta di fantasia, ma della vita reale di avvocate, giornaliste, attiviste che hanno avuto il coraggio di parlare.
La Tunisia ha rappresentato a lungo un faro di emancipazione, soprattutto per le donne. Il 13 agosto del 1956 fu promulgato il Codice dello Statuto Personale, che abolì la poligamia, introdusse il matrimonio civile e il diritto al divorzio. Fu una rivoluzione nel mondo arabo.
Bourguiba, padre fondatore della Repubblica, voleva donne istruite, libere, parte attiva dello sviluppo nazionale. Per decenni, la Tunisia ha incarnato l’immagine di un Paese moderno, aperto, progressista.
Ma oggi, in Tunisia, la Festa della Donna si celebra tra le mura delle carceri. Abir Moussi, leader all’opposizione del Partito Desturiano Libero, è in carcere dal 2023 per accuse gravissime, condannata a due anni di prigione. La giornalista Chadha Hadj Mbarek, critica contro il governo, aveva fatto dell’informazione un servizio pubblico, è stata condannata a cinque anni.
L’avvocata e opinionista Sonia Dahmani, voce critica e indipendente, è rinchiusa nel carcere femminile di Manouba. A loro si aggiungono attiviste come Imen Ouardani, Sherifa Riahi, Saloua Ghrissa, Saadia Mosbah.
Sono tutte accusate di reati infamanti, ma in realtà punite per aver difeso i più vulnerabili, per non aver accettato di tacere. La Tunisia del 2025 è un Paese dove l’impegno civile è criminalizzato e dove l’azione umanitaria viene perseguita.
Questa deriva autoritaria si intreccia a una crisi economica che logora la vita quotidiana. Dal 2011, dopo la cacciata di Ben Ali, la situazione non ha fatto che peggiorare. Lo ripetono molti tunisini: “Ben Ali era un ladro, ma almeno si viveva meglio”.
Oggi inflazione e disoccupazione divorano le speranze. Nei negozi e nei mercati mancano spesso beni essenziali e le famiglie faticano ad arrivare a fine mese. La rabbia cresce, ma viene repressa. Chi protesta viene schedato, chi parla rischia di sparire dalle strade per ricomparire davanti a un tribunale.
Io non posso tacere. Da straniero ho il privilegio della distanza, ma non l’immunità: vivo qui e scrivere queste parole comporta un rischio. Per questo le firmo con uno pseudonimo. Lo faccio perché credo che la libertà di parola non sia un lusso, ma un diritto universale che riguarda tutti noi. Lo faccio perché so che il silenzio, in queste condizioni, diventa complicità.
La Tunisia non è soltanto un Paese in crisi, ma una società che rischia di spegnere la propria anima. Eppure, la sua storia è fatta anche di dignità e di coraggio. Oggi come ieri, le donne tunisine restano protagoniste, pagano il prezzo più alto ma continuano a incarnare la speranza di una nuova Primavera.
John Doe
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articolo tradotto dal francese con Deepl e editato da Sandro Pintus
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Questi sono i giornalisti "occidentali" che per conto di "altri" tentano di destabilizzare i governi insediati con regolare votazione, ma a questi "intellettuali democratici" non va giu'....