Non solo Gaza, le violenze e i soprusi dei coloni israeliani denunciati in Cisgiordania

Nel 1967 gli insediamenti ebraici erano pochissimi, oggi sono 279. Negli anni Novanta i coloni erano 136 mila, oggi sono 750 mila, compresi quelli che vivono negli insediamenti accanto o in Gerusalemme est.

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Palestinesi evacuano un'area dopo un attacco aereo israeliano alla moschea di Sousi, a Gaza City, il 9 ottobre 2023. La crisi umanitaria a Gaza ha raggiunto un punto senza precedenti mentre le ostilità continuano. AFP/Mahmud Hams

Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
10 dicembre 2023

La situazione sta diventando sempre più tesa anche in Cisgiordania, i Territori occupati occupati da Israele (Onu). Da qualche giorno l’esercito di Tel Aviv sostiene di aver trovato tunnel e armi di Hamas a Jenin. Jenin, nord della West Bank, per i palestinesi è una delle città martire. Il cimitero continua ad accogliere morti. I loro ritratti sono appesi come stendardi lungo le strade della città, come è sempre stato fatto anche in passato.

Le tensioni nella Cisgiordania non sono cominciate certo dall’inizio di questa guerra. Da principio d’anno si sono moltiplicati gli assalti dei coloni, che occupano un territorio che per il diritto internazionale è palestinese, anche se nessuno ha mai creato una Palestina.

Gli accordi di Oslo avevano diviso il territorio in aree A, B e C con controlli misti o a prevalenza palestinese o israeliana, ma di fatto nei decenni l’esercito israeliano ha rioccupato i territori in seguito ad attentati.  E intanto le colonie crescevano.

Palestinesi evacuano un’area dopo un attacco aereo israeliano alla moschea di Sousi, a Gaza City, il 9 ottobre 2023. La crisi umanitaria a Gaza ha raggiunto un punto senza precedenti mentre le ostilità continuano. AFP/Mahmud Hams

Dopo la guerra del 1967 le colonie erano pochissime, negli anni Novanta i coloni erano 136 mila, oggi sono 750 mila, compresi quelli che vivono negli insediamenti accanto o in Gerusalemme est. L’Onu conta oggi 279 colonie.

Nei decenni è bastato che quattro israeliani si piazzassero sulla cima di una collina con una tenda perché fosse creato un outpost con un qualche nome ebraico. Dopo poche ore arrivava l’esercito a proteggere i coloni. La collina si cementava con case affastellate come tra Ramallah e Gerusalemme est. Intorno torrette e filo spinato. Nel giro di poco tempo veniva anche rinvenuta una qualche scritta ebraica per attesta la presenza in zona da millenni e quindi notificare l’esproprio di proprietà palestinesi.

Le colonie sono collegate da strade e autostrade ad esclusivo uso dei coloni Sotto, in basso, ci sono i villaggi palestinesi antichi che sfruttano l’acqua degli uadi e quindi stanno lungo le vallate e sono costretti ad usare altre vie più o meno carrate e piene di checkpoint, tanto che il viaggio di un israeliano fino a Gerusalemme può durate trenta minuti e quello del palestinese per strade molto più lunghe e controllare alcune ore.

 

Oggi la Cisgiordania è “a coriandoli”, come ha scritto Limes. Le colonie si sono moltiplicate. I coloni con la destra al potere hanno mano libera, da mesi fanno quello che vogliono.

Solo stando alle ultimi giorni, il 5 dicembre Haaretz riferisce di un assalto dei coloni col ferimento anche di due di quattro pacifisti israeliani nel villaggio di Al Farisja vicino alla colonia di Rotem, nel nord ovest della West Bank. Uno dei due ha avuto una ferita grave alla testa. Un mese fa era stato ferito dai coloni di Asa’el che gli avevano rotto il naso.

All’altro pacifista hanno spruzzato del peperoncino in faccia. Erano delude di notte, i quattro stavano dormendo in casa di una famiglia palestinese per proteggerli dagli attacchi, quando una ventina di coloni ha attaccato . Secondo B’telem dall’inizio della guerra 16 comunità palestinesi hanno dovuto lasciare i loro villaggi a causa degli attacchi.  Ocha (l’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite) sostiene che 1.026 persone che dovuto sloggiare.

Il 5 e 6 dicembre i coloni hanno attaccato i villaggi di Yanun vicino a Nablus e Khirbet Tel al Himma (Tubas). Dicono che lo fanno per la loro sicurezza. Lo scopo è terrorizzare, spaccare, distruggere e fare in modo che i palestinesi non possano pensare di continuare a vivere sulla loro terra.

I giornali israeliani riportano poco questi fatti. Il Jerusalem Post cerca di minimizzare. Titolo: “I dati dell’esercito sulle violenze degli ebrei contro i palestinesi “complessi”. L’articolo sostiene che prima del 7 ottobre ci sono stati 32 “incidenti con violenze dei nazionalisti” e, dopo, 24 ogni settimana dopo.

Da allora ogni settimana sono stati registrati dai 10 ai 38 incidenti e che quindi le violenze sono diminuite dal 7 ottobre (lo dice anche Ocha), ma sono aumentate comparando il 2022 col 2023. Sempre secondo Ocha dal 7 ottobre ci sono stati 330 attacchi dei coloni contro i palestinesi, di cui 250 hanno comportato danni alle proprietà. Nella maggior parte degli attacchi i militari israeliani partecipavano con i coloni (fonte Ocha).

In Cisgiordania, Gerusalemme est compresa, si stanno moltiplicando anche le incursioni dell’esercito. Jenin ormai ha la strada principale distrutta. L’8 dicembre l’esercito ha ucciso 6 palestinesi tra cui un quattordicenne nel campo rifugiati di Al Fara’a, a Tubas. Dal 7 ottobre, scrive sempre Ocha, nella West Bank compresa Gerusalemme est, sono stati uccisi  263 palestinesi. La maggior parte dei morti, “martiri” per i palestinesi, sono di Jenin e Tulkarm. Una parte dei morti stavano ingaggiando uno scontro a fuoco con IDF (Israel Defence Forces, l’esercito israeliano) ma oltre la metà non era armato e non stava aggredendo nessuno.

L’altra arma usata contro i palestinesi sono le demolizioni. L’esercito arriva con le ruspe e tira giù le loro case. Le nuove distruzioni a Gerusalemme Est (palestinese per il diritto internazionale) hanno costretto ad evacuare 68 persone per un totale di 265 palestinesi rimasti senza casa in Cisgiordania da 7 ottobre a oggi.

Un rapporto delle Nazioni Unite afferma che gli insediamenti israeliani violano i diritti umani e potrebbero essere perseguiti come crimini di guerra, ma molti coloni israeliani si considerano patrioti. Che speranza c’è dunque per la pace in Medio Oriente?

Il governo israeliano insomma sta facendo piazza pulita di ogni ostacolo. Sta cercando di aggredire anche la parte armena di Gerusalemme antica (all’interno delle mura) grazie alla corruzione di un religioso per altro trasferito. Il progetto anche lì è demolire gli edifici antichi per costruire un grande albergo.

A fronte del quadro complessivo, serve a poco – dopo il veto al cessate il fuoco a Gaza degli Usa – che gli Usa e il Belgio abbiano deciso di non dare il visto ai coloni responsabili di violenze.

Alessandra Fava
alessandrafava.privacy@gmail.com
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