Sergej Lavrov, ministro degli Esteri russo, a sinistra e il presidente del Burkina Faso,
Cornelia I. Toelgyes
27 settembre 2022
A margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, il presidente golpista del Burkina Faso, Paul-Henri Sandaogo Damiba, ha incontrato il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov.
La presidenza burkinabé ha fatto sapere che entrambi i Paesi desiderano rafforzare la cooperazione, ma sia il Burkina Faso, sia la Russia ne dovranno trarre vantaggi.
La cooperazione auspicata da Ouagadougou è più che altro militare. “Ma coinvolgerà anche altri aspetti. La collaborazione tra la Russia e il Burkina Faso dura da decenni e oggi i due Paesi intendono consolidarla alla luce delle sfide attuali”, ha spiegato la presidenza burkinabé.
Il mese scorso, il primo ministro della transizione burkinabé, Albert Ouédraogo, aveva già anticipato che il suo governo intende diversificare i partner internazionali nella lotta al terrorismo.
Parte della società civile del Burkina Faso è contraria alla presenza dei francesi nel Paese. Manifestazioni contro le forze di Parigi si sono verificate in diverse occasioni, perché la popolazione è convinta che l’intervento dei militari di Barkhane non sia sufficientemente efficacie contro i continui attacchi dei terroristi, in particolare nella zona delle tre frontiere (Mali,Niger, Burkina Faso).
Lo scorso novembre, due mesi prima del colpo di Stato, l’ira della popolazione contro l’incessante insicurezza si era scatenata contro un convoglio di militari francesi dell’Operazione Barkhane, composto da un centinaio di automezzi proveniente dalla Costa d’Avorio e diretto in Mali, via Burkina Faso e Niger. I militari e i loro mezzi sono stati bloccati per giorni a Kaya, regione Centro-Nord del Burkina Faso. I manifestanti, per lo più giovani, protestavano contro la presenza dei soldati di Parigi nel Sahel.
Da tempo è attiva nel Paese la Coalizione Burkina-Russia, che poco più di un mese fa ha chiesto alla popolazione di unirsi a loro nella lotta contro il terrorismo e ha lanciato un appello di mandare a casa i francesi. “Abbiamo bisogno di un partenariato geostrategico con la Russia. Dobbiamo abolire l’accordo militare tra Burkina Faso e Francia che risale a più di 60 anni fa”, ha dichiarato Barthélemy Zongo, vicepresidente della Coalizione Burkina-Russia.
All’inizio di settembre il presidente Damiba si è recato in Mali per incontrare il suo omologo Assimi Goïta. I colloqui tra i due capi di Stato si sono concentrati sulla cooperazione bilaterale e sulla sicurezza. Certamente avranno discusso anche della collaborazione con la Russia e dei mercenari di Wagner, presenti in Mali dallo scorso anno.
Sette mesi dopo il golpe in Burkina Faso, i risultati ottenuti nella lotta contro il terrorismo non sono assolutamente quelli auspicati dalla popolazione, anzi si sono moltiplicati. Altrettanto succede in Mali, dove gli attacchi dei jihadisti sono sempre più frequenti, malgrado la presenza dei contractor russi.
Da marzo lo Stato Islamico nel Grande Sahara (EIGS) sta guadagnando terreno nel nord-est del Mali, e MINUSMA (Missione di pace dell’ONU nel Paese) ritiene che abbia preso il controllo di tre zone su quattro nella regione di Ménaka. E proprio a giugno i militari francesi dell’Opération Berkhane hanno consegnato la loro base di Menaka alle forze armate maliane (FAMa), dove poco dopo si sono insediati i mercenari russi del gruppo Wagner.
Proseguono inoltre a rilento gli interventi della Force G5 Sahel, contingente tutto africano, del quale fanno parte militari di Niger, Burkina Faso, Mauritania e Ciad. Il Mali si è ritirato da questa forza anti-jihadista lo scorso maggio.
Pochi giorni fa i presidenti e i ministri della Difesa dei quattro componenti (Niger, Ciad, Burkina Faso, Mauritania) rimasti nella Force G5Sahel, si sono riuniti a Niamey per fare il punto della situazione. Finora non sono state rilasciate dichiarazioni in merito.
Lanciato nel 2017 dagli Stati del G5Sahel, il contingente è stato in gran parte finanziato dall’Unione Europea, inquanto, agli occhi dei partner internazionali del Sahel, avrebbe potuto rappresentare una valida forza nella lotta contro i jihadisti. Ma in cinque anni le operazioni congiunte sono state poche e rare e la situazione della sicurezza nel Sahel continua a deteriorarsi, in particolare nella zona delle 3 frontiere.
Cornelia I. Toelgyes
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