Errore a Zurigo che rimpatria un eritreo: torturato e sbattuto in galera, evade torna in Svizzera che lo accoglie

L'odissea del giovane eritreo Yonas

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Africa ExPress
9 maggio 2022

“Ho ancora forti dolori alle gambe”, racconta il giovane eritreo Yonas (nome di fantasia) ai reporter di RSF (Schweizer Radio und Fernsehen, azienda radiotelevisiva pubblica della Svizzera tedesca e romancia). “Non posso dimenticare tutto quello che ho dovuto subire”, si sfoga.

Yonas, rispedito in Eritrea

Al ragazzo eritreo, approdato in Svizzera, era stato negato il permesso di soggiorno nel 2017, perché la Segreteria di Stato della Migrazione (SEM) aveva ritenuto contraddittorie le sue dichiarazioni. Il Tribunale federale amministrativo ha poi confermato la decisione.

Anche se le dichiarazioni rilasciate da Yonas, secondo la procedura elvetica, non sono state del tutto convincenti gli uomini del SEM si sono dimenticati che il piccolo Paese africano non gode né di democrazia, né di giustizia indipendente. Entrambi inesistenti. Nella nostra ex-colonia regna il dolore, la tortura, la paura. I diritti umani restano un optional.

Dopo il respingimento della richiesta d’asilo, Yonas non può lavorare, tantomeno formulare una tale domanda in un altro Paese. Il giovane viene portato nel centro per migranti a Adliswil, nel canton Zurigo, dove, preso dalla disperazione, tenta anche di suicidarsi.

Non vuole tornare nel suo Paese natale, l’Eritrea, dal quale è scappato per non assoggettarsi alle decisioni disumane del regime, essere costretto a arruolarsi per un periodo indefinito, per uno stipendio da fame. Il ragazzo non vuole rinunciare ai propri sogni.

In Svizzera, le autorità competenti gli suggeriscono di riflettere sulla possibilità del “ritorno volontario”, assicurandogli anche una discreta somma – secondo gli standard eritrei –  come aiuto per il reinserimento. Non vedendo altra prospettiva, Yonas, dopo mille tentennamenti, accetta.

Appena atterrato ad Asmara, viene bloccato da due uomini dei servizi di sicurezza del dittatore Isaias Afeworki il padre padrone dell’Eritrea. Gli portano via tutto, anche i 3.000 dollari ricevuti “in dono” dalla Confederazione Elvetica per aver accettato il “rimpatrio volontario”. Poi lo portano in un appartamento, poco distante dall’aeroporto di Asmara, lo legano, lo interrogano a suon di bastonate e cinghiate alle gambe e sulla schiena. I suoi aguzzini sono informati di ogni dettaglio del suo soggiorno in Svizzera. Sanno persino di una sua partecipazione a una manifestazione contro il regime eritreo a Ginevra.

Dopo le due interminabili settimane Yonas viene condotto a Adi Abetu, una delle tantissime, terribili putride galere sparse in tutto il territorio del Paese. Infine riesce a evadere dalla prigione, anche grazie all’aiuto di un secondino e tenta nuovamente la fuga verso l’Europa.

Del caso di Yonas, che non può e non vuole mostrare il suo viso, tantomeno dichiarare la sua vera identità, si era occupato per la prima volta la ONG Reflekt (un collettivo di ricerca svizzero). Il caso di Yonas nel 2020 viene anche riportato dalla rivista on-line Report.

Il giovane, dopo l’evasione riesce a raggiungere la Grecia via la Turchia, poi, nel luglio 2021 comunica alla ONG: “Sono riuscito a arrivare illegalmente in Svizzera, sono qui”. E finalmente nel dicembre 2021 gli viene concesso il diritto d’asilo. Stavolta il SEM ha ritenuto la versione dei fatti credibile, anzi riconosce che Yonas stesso è una persona attendibile. Infatti i segni delle torture sulle sue gambe e sul corpo raccontano tutto, anche le parole non dette.

La questione va oltre, con la riammissione del giovane, la Confederazione, nei fatti, riconosce ufficialmente che una persona deportata in Eritrea è stata cacciata in prigione, torturata e costretta a una nuova fuga. Il SEM ammette: “Ora dobbiamo verificare se nella nostra procedura c’è stato un errore di valutazione”.

E Daniel Bach, portavoce del SEM aggiunge con rammarico: “Se davvero esistono pericoli e minacce più gravi di quanto ipotizzato, in futuro si potrebbe arrivare addirittura a uno stop delle espulsioni dei rifugiati eritrei”.

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