Rischio catastrofico disastro ecologico nel Mar Rosso: superpetroliera abbandonata

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Gli arabi di stanno svegliando si son accorti che mentre giocano alla guerra in Yemen c'è la petroliera The Safer che rischia di esplodere da un momento all'altro distruggendo per decenni nel Mar Rosso ogni forma di vita (quotidiano arabo ‫‪Makkahnp‬‬ di oggi)

Africa ExPress
Il Cairo, 29 gennaio 2020

Il Mar Rosso rischia seriamente di diventare nero per quella che potrebbe essere il disastro ambientale più grande della storia, con conseguenze umanitarie “catastrofiche” per milioni di persone.

L’apocalisse del Golfo Persico si chiama “The Safer”. E’ una superpetroliera yemenita in avaria che giace in stato d’abbandono dal 2015 a 5 miglia nautiche al largo dello Yemen, con 48 milioni di galloni di greggio a bordo (oltre un milione di barili di greggio l’equivalente di 140 mila tonnellate) che rischiano di disperdersi da un momento all’altro nel Mar Rosso facendolo diventare nero.  L’acqua di mare ha già invaso da tempo il vano motori della nave.

Una bomba atomica ecologica a orologeria pronta a scoppiare in ogni momento con un impatto ambientale devastante:  quattro volte maggiore del greggio disperso nel 1989 nel mare dell’Alaska dalla petroliera Exxon Valdez (ritenuto il più grande disastro ambientale della storia).

Un’ecodisastro potenziale che potrebbe determinare l’interruzione delle rotte marittime nel Canale di Suez (ricordiamo tutti cosa è successo quando la portacontainer Ever Given è rimasta bloccata nello stretto corso d’acqua).

Un potenziale impatto devastante su qualsiasi forma di turismo futuro, ma non solo. Anche gli impianti di desalinizzazione sarebbero danneggiati, compromettendo drasticamente l’accesso all’acqua potabile a milioni di persone.

Dopo una fuoriuscita di greggio verrebbero chiuse anche tutte le attività di pesca nella regione per impedire che il pesce contaminato possa entrare nella catena alimentare (attività che costituisce l’unica fonte di sostentamento per intere popolazioni).

Al momento non sono ipotizzabili interventi in situ poiché la zona è controllata dalle milizie Huthi (gruppo yemenita prevalentemente sciita  sostenuto dall’Iran) che dal 2015 è in conflitto con la coalizione araba guidata da Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti.

Mentre nella penisola arabica non c’è tempo per “futili” emergenze ambientali e si gioca alla guerra con droni e missili balistici, un solo proiettile vagante nel posto sbagliato potrebbe scatenare una catastrofe che farebbe più danni del blocco di 1000 Canali di Suez messi insieme.

Gli arabi di stanno svegliando si son accorti che mentre giocano alla guerra in Yemen c’è la petroliera The Safer che rischia di esplodere da un momento all’altro distruggendo per decenni nel Mar Rosso ogni forma di vita (quotidiano arabo ‫‪Makkahnp‬‬ di oggi)

Lo scafo della nave infatti, in diversi lati si è assottigliato a pochi millimetri e nelle stive si sono formate sacche di gas ad altissimo rischio esplosivo. Le conseguenti calamità di proporzioni bibliche, porterebbero questo conflitto nel Golfo ad aver nessun vincitore, ma solo vinti.

Ancora pochi giorni fa un gruppo di attivisti di Greenpeace ha nuovamente avvertito delle conseguenze nefaste che questa emergenza ambientale potrebbe avere se la petroliera non venisse immediatamente svuotata del suo petrolio.

Nella recente conferenza stampa di Greenpeace è stato lanciato l’ennesimo allarme anche per l’economia globale; un’eventuale disastro ambientale di queste proporzioni potrebbe rendere impraticabile il Canale di Suez causandone il blocco totale.

Tragico blackout che potrebbe costare al mondo quasi 10 miliardi di dollari al giorno, con conseguenze inimmaginabili per tutta la logistica e l’economia mondiale.

Paul Horsman, che guida il Safer Response Team di Greenpeace International, ha dichiarato: “A meno che non si intervenga subito per mettere in sicurezza la petroliera, c’è il pericolo reale di una grave fuoriuscita di petrolio, o forse peggio, di un’esplosione, nel peggiore dei casi, il greggio potrebbe andare alla deriva nei paesi vicini, tra Gibuti, Eritrea e Arabia Saudita con esiti gravi e di lunga durata”.

Gli huthi hanno ripetutamente rifiutato l’accesso internazionale per garantire la sicurezza dell’UST nonostante le molteplici richieste delle Nazioni Unite.

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