I francesi via dal nord Mali, in arrivo i mercenari russi della Wagner

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Il comandante della base francese di Timbuctù consegna una chiave simbolica al suo omologo maliano

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
16 dicembre 2021

Il 14 dicembre la bandiera francese è stata ammainata dalla base di Tumbuctù e al suo posto è issata quella maliana. I militari francesi dell’Operazione Barkhane hanno abbandonato anche “La perla del deserto”, dopo Kidal e Tessalit.

Nel nord del Mali, Parigi ha lasciato tutte le sue basi, come preannunciato da Emmanuel Macron, presidente della Francia, il 10 giugno, poi confermato durante il G5 Sahel a luglio dell’anno in corso: “Ci avviciniamo alla fine dell’operazione Barkhane, una missione di sostegno, supporto e cooperazione agli eserciti dei Paesi della regione”, aveva precisato in tale occasione il capo di Stato francese.

Il comandante della base francese di Timbuctù consegna una chiave simbolica al suo omologo maliano

Il generale francese Etienne du Peyroux, capo dell’operazione Barkhane in Mali, ha scambiato una stretta di mano con il nuovo comandante maliano del campo e gli ha consegnato simbolicamente una grande chiave di legno mentre un aereo francese sorvolava il campo a bassa quota.

I primi soldati francesi sono arrivati in Mali nel 2013, con l’operazione operazione SERVAL, autorizzata con la risoluzione ONU 2085 nel dicembre 2012. L’intervento era stato richiesto dal governo maliano ad interim per contrastare i gruppi islamici armati e per sostenere le truppe governative.

Ed è proprio a Tumbuctù che il 2 febbraio 2013, l’allora presidente francese François Holland, ha annunciato l’arrivo dei suoi militari su suolo maliano. E in seguito la liberazione di Timbuktù è stata descritta dal capo di Stato di Parigi con parole di grande entusiasmo:  “Questo è il giorno più bello della mia vita politica”.

Il 1° agosto 2014 è poi subentrata l’Operazione Barkhane con un contingente di 5 mila uomini, presenti non solo in Mali, ma in tutto il Sahel, con base operativa a N’Djamena, la capitale del Ciad.

Ora i militari di Barkhane saranno attivi solamente nella zona delle tre frontiere (Mali, Burkina Faso, Niger), l’area più battuta dai terroristi del Sahel e dove i francesi mantengono ancora tre basi: Gao, Ménaka e Gossi. Il contingente di Parigi, che ora conta oltre 5 mila uomini, entro il 2023 sarà ridotto a 2.500, massimo 3.000 unità.

Se da un lato Opération Barkhane è praticamente terminata, la task force Sabre (forze speciali francesi) continuerà a dare la caccia ai terroristi. Per altro anche il nuovo contingente europeo Takuba, (“spada” in lingua tuareg), missione multinazionale interforze con il mandato ufficiale di addestrare e assistere le forze armate del Mali nella lotta contro i gruppi armati jihadisti attivi nel Sahel è già operativo.

Sotto comando franceseTakuba vede operare congiuntamente i militari di diversi Paesi europei (oltre alla Francia, Belgio, Danimarca, Estonia, Romania, Germania, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Spagna, Svezia e Italia), in coordinamento con altri attori internazionali, in particolare US Africom, il comando delle forze armate statunitensi per il continente africano e MINUSMA, la missione delle Nazioni Unite di stabilizzazione del Mali.

Ma è anche la volta di Force G5 Sahel, contingente tutto africano composto da militari di Ciad, Niger, Mali, Mauritania e Burkina Faso, lanciato a Bamako durante un vertice dei 5 Paesi nel luglio 2017, a doversi concentrare nella lotta contro il terrorismo nel Sahel. Un compito arduo, in una vastissima regione desertica, qui completamente abbandonata dai poteri centrali. Infatti, molti osservatori ritengono che una armata interafricana così fatta non sia comunque in grado di affrontare da sola una tale sfida.

Intanto la situazione nel nord del Mali resta più che preoccupante e lontana da essere risolta. Secondo diversi analisti lo Stato centrale non ha i mezzi per investire in quella parte del Paese.

Ciononostante Riccardo Maia, capo a Timbuctù della missione delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA, presente nel Paese con oltre 13 mila uomini), ha precisato che in quell’area il numero di attacchi ai civili è al minimo dal 2015, quando sono stati firmati accordi di pace con i gruppi ribelli del nord. I rifugiati nomadi che erano fuggiti in Mauritania e Algeria ora sono tornati. Le scuole, chiuse sotto la pressione dei jihadisti, hanno potuto riaprire a certe condizioni. “C’è stato uno sviluppo complessivamente positivo”, ha aggiunto il funzionario dell’ONU.

Malgrado l’ottimismo di Maia, ancora oggi nessun occidentale può recarsi nella città se non accompagnato da una scorta. I servizi statali, presenti a Timbuctù e sostenuti dai casco blu, sono in gran parte assenti nelle campagne. La nebulosa jihadista, controlla di fatto gran parte del territorio. “Per casi di furto o altri conflitti, molti residenti preferiscono rivolgersi al cadi (giudice musulmano) piuttosto che al Tribunale”, ha fatto notare Houka Houka Ag Alhousseini, un notabile del luogo, il cui nome compare nella lista delle persone sanzionate dall’ONU (diniego di visto per viaggi e congelamento dei propri bene all’estero), poiché ha svolto il ruolo di giudice durante l’occupazione jihadista.

Le relazioni tra Parigi e Bamako si sono inasprite il 25 settembre in occasione dell’ assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, quando il primo ministro di transizione del Mali, Choguel Maïga, ha accusato la Francia di “abbandonare la sua missione a metà strada”. Queste critiche volevano giustificare il possibile utilizzo del gruppo di sicurezza privata russo Wagner, molto vicino al presidente Vladimir Putin, per compensare la riduzione di Barkhane.

Il 13 dicembre scorso il Consiglio Europeo ha adottato una serie di misure restrittive nei confronti dei contractor. Oltre alla società Wagner sono state sanzionate anche otto persone fisiche di cui tre legate all’agenzia russa e comprendono il divieto di viaggiare nell’UE e il congelamento dei beni in Europa.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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