I tigrini alle porte di Addis Ababa: la diplomazia chiede dialogo ma Abiy rifiuta

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Addis Ababa, capitale dell'Etiopia

Africa-ExPress
5 novembre 2021

I Paesi limitrofi e la comunità internazionale lanciano l’allarme sull’inasprirsi del conflitto in Etiopia e chiedono un cessate il fuoco immediato.

Uhuru Kenyatta, presidente del Kenya, ha predisposto sorveglianza speciale alle frontiere con l’Etiopia. Yoweri Museveni, capo di Stato dell’Uganda, ha fatto sapere che si parlerà delle crisi etiopica durante la prossima riunione di IGAD (Autorità intergovernativa per lo sviluppo, un’organizzazione internazionale politico-commerciale formata dai Paesi del Corno d’Africa), in programma per il 16 novembre prossimo. Insomma anche “i vicini di casa” cominciano a preoccuparsi.

Addis Ababa, capitale dell’Etiopia

Jeffrey Feltman, inviato speciale di Washington per il Corno d’Africa, ha raggiunto ieri Addis Ababa, dove ha anche incontrato Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana, per trovare soluzioni politiche e cercare di istaurare un dialogo tra il governo centrale etiopico e Tigray People’s Liberation Front (TPLF) e ai suoi alleati.

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha messo nuovamente in agenda il conflitto etiopico. Si riunirà infatti oggi in una seduta a porte aperte, come richiesto da Irlanda, Kenya, Niger, Tunisia e St Vincent e Grenadine.

Intanto il segretario generale, Antonio Guterres, ha offerto aiuto a Abiy Ahmed, primo ministro etiopico e Premio Nobel per la Pace 2019, per creare le condizioni di dialogo tra le parti in conflitto.

L’Alto rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell’Unione Europea, Josep Borrel, ha sottolineato che non esiste una soluzione militare in Etiopia, e ha invitato tutte le parti ad attuare un cessate il fuoco con effetto immediato e ad avviare negoziati politici senza precondizioni.

Mentre tutta la diplomazia internazionale tenta di portare al tavolo delle trattative le parti in conflitto, Abiy continua a rifiutare il dialogo con i leader del TPLF. Domenica scorsa Abiy ha annunciato lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale per la durata di 6 mesi e ieri mattina il parlamento ha ratificato la nuova norma. E da alcuni giorni sono in atto nuove razzie in tutti quartieri di Addis Ababa alla ricerca di persone di etnia tigré. Agenti di polizia sono persino entrati nella cattedrale, costringendo sacerdoti e monaci tigrè di interrompere le preghiere. I religiosi sono poi stati caricati sui pick up delle forze dell’ordine e portati via.

Le forze del Tigray e i loro alleati sono a poche centinaia di chilometri da Addis Ababa, e, temendo il peggio, le autorità cittadine hanno chiesto ai residenti di registrare le proprie armi per contribuire al controllo del territorio della capitale.

Crisi in Etiopia

In un anno di guerra sono morte migliaia di persone, gli sfollati sono oltre due milioni, senza contare gli oltre 60 mila che hanno cercato rifugio e protezione in Sudan. Nel nord dell’Etiopia la gente è allo stremo, più di 400 mila civili sono in condizioni di carestia, perchè gli aiuti umanitari stentano ad arrivare. E, secondo il rapporto, redatto dall’Ufficio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani e da Ethiopian Human Rights Commission (EHRC), pubblicato il 3 novembre 2021, emerge che atrocità e abusi sono stati commessi da tutte le parti in causa.

L’analisi copre il periodo dal 3 novembre 2020, quando è iniziato il conflitto armato tra le forze di difesa nazionale etiopiche (ENDF), quelle speciali dell’Amhara (ASF), l’Amhara Fano e altre milizie da una parte, e le forze speciali del Tigray (TSF), le milizie del Tigray e altri gruppi alleati dall’altra, fino al 28 giugno 2021, quando Addis Ababa ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale.

Nel Tigray la situazione attuale è catastrofica. I convogli con gli aiuti umanitari sono bloccati dal 18 ottobre e i movimenti degli operatori da e per la regione sono vietati dal 28. Restrizioni sono state attuate anche per l’Amhara e l’Afar. Centinaia di camion sono fermi, carichi di alimenti e beni di prima necessità, per non parlare delle cisterne di carburante, che non hanno il permesso di entrare da metà agosto. Le comunicazioni e internet sono ancora interrotti, anche la maggior parte dei servizi bancari sono bloccati, quasi impossibile trovare denaro contante.

Scarseggiano i medicinali e i vaccini, molti ospedali hanno chiuso i battenti per la ormai cronica mancanza di qualsiasi materiale sanitario.

Africa ExPress
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