Etiopia: l’orrore continua, altri cadaveri con segni di tortura nel fiume

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Altri morti nel fiume che separa l'Etiopia dal Sudan

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
9 settembre 2021

La nebbia avvolge i corpi mutilati senza vita, in lontananza si vede solo qualche arto che emerge dal fiume Gash-Setit, che in Etiopia prende il nome di Tekeze. Un settore del corso d’acqua segna il confine naturale più occidentale tra Eritrea e Etiopia, mentre in un altro punto quello tra Etiopia e Sudan.

Piano piano, la corrente porta i cadaveri verso l’argine, dove i testimoni assistono a scene che vanno oltre l’orrore: corpi di uomini, donne, adolescenti, bambini.

Alcuni cadaveri portano persino segni di tortura, altri hanno le braccia legate dietro la schiena. Uno scenario agghiacciante, riportato dalla CNN nel suo reportage del 5 settembre scorso. Sono tutte persone originarie del Tigray, la regione nel nord dell’Etiopia, dove dal 4 novembre scorso si consuma un sanguinario conflitto.

Altri morti nel fiume al confine tra Etiopia e Sudan

In questi ultimi giorni sono stati ripescati 14 corpi, probabilmente provenienti da Humera, che si trova in una posizione strategica – Etiopia da un lato e il Sudan dall’altro – e testimoni oculari hanno riferito alla CNN che sembra di vivere in un film dell’orrore. Humera si è trasformata in un luogo di morte, dove le persone vengono detenute per chissà quanto tempo in condizioni disumane e per non parlare di esecuzioni di massa al confine. Questa volta gli aguzzini non hanno voluto solo “punire” i tigrini, ma anche i sudanesi che abitano sull’altra sponda, Nel tratto del fiume dove sono stati trovati i poveri resti, l’acqua è contaminata e non più potabile.

Il ministero degli Affari Esteri di Khartoum ha convocato l’ambasciatore di Addis Ababa accreditato in Sudan per chiedere spiegazioni sul ritrovamento dei primi cadaveri tra la fine di luglio e i primi di agosto. Finora le autorità etiopiche non hanno rilasciato alcun commento ufficiale.

E la guerra continua nel nord dell’Etiopia, con essa anche la fame. Il 90 per cento della popolazione del Tigray necessita aiuti umanitari, tra questi oltre 400 mila persone si trovano in una situazione disperata. Con l’espandersi del conflitto nelle regioni vicine (Afar e Amhara) il contesto è peggiorato: altre 300mila persone hanno lasciato le loro case per lo stato di grave insicurezza e 1,7 milioni non sono in grado di procurarsi il cibo.

In un breve comunicato riportato ieri dalla BBC, i leader del TPLF  (Tigray People’s Liberation Front) stimano che nella regione siano già morte di fame almeno 150 persone. Il responsabile per l’agricoltura dei “ribelli”, Atinkut Mezgebo, ha precisato:  “Le persone stanno morendo sotto i nostri occhi, in particolare donne e bambini”.

Sì, nel 2021 si muore di fame in Etiopia, Paese governato da Abiy Ahmed, insignito del Premio Nobel per la Pace 2019. Billene Seyoum, portavoce di Abiy ha respinto categoricamente qualsiasi responsabilità del governo etiopico per quanto riguarda il blocco degli aiuti umanitari.

Dichiarazione rilasciata dopo l’appello lanciato dall’ONU a tutte le parti coinvolte nel conflitto di permettere il passaggio dei convogli per sfamare la popolazione. Ogni giorno  dovrebbero entrare almeno 100 camion nelle zone di conflitto, ma da tempo non si vede nemmeno uno. “I magazzini sono completamente vuoti, non resta più nulla da distribuire alla gente affamata”, ha precisato  Satyen Tait, un membro dello staff di World Food Programme delle Nazioni Unite (WFP) in Etiopia.

Difficile verificare cosa sta veramente accadendo nelle zone in guerra, nel Tigray gran parte delle linee telefoniche sono ancora interrotte. Quasi impossibile far arrivare cibo e beni di prima necessità anche via aerea e poi lanciarli con il paracadute, in quanto aumenterebbero enormemente i costi. Richiederebbe poi un’imponente organizzazione sul terreno per la distribuzione, difficilmente realizzabile proprio a causa dell’insicurezza nella regione.

Intanto l’opposizione eritrea fa sapere che sono arrivati nuovi contingenti da Asmara. Secondo questa fonte avanzerebbero da Humera verso Gondar. Anche le forze del TPLF hanno confermato che da alcune settimane stanno affrontando le truppe di Isaias Afewerki vicino a Dabat (Amhara), città sulle montagne Semien lungo l’autostrada Gondar-Debarq.

Ieri Reuters ha riportato accuse pesanti rivolte ai “ribelli” da un amministratore di un villaggio vicino a Gondar. In base a testimonianze riportate, le forze del Tigray avrebbero ucciso 120 civili tra il 1° e il 2 settembre a Sewnet Wubalem. Il TPLF ha respinto tali accuse.

Salva Kiir, presidente del Sud Sudan, a sinistra, e Abiy Ahmed, primo ministro dell’Etiopia

Il primo ministro del Sudan, Abdalla Hamdok, nella sua veste di presidente dell’IGAD (“Autorità intergovernativa per lo sviluppo”), un’organizzazione internazionale politico-commerciale, i cui membri sono: Kenya, Ethiopia, Uganda, Gibuti, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Eritrea (attualmente non partecipa alle riunioni), ha chiesto al presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, la sua disponibilità come mediatore nel conflitto in Etiopia e, sembra, che l’ufficio di Kiir abbia accettato l’offerta di IGAD. Ora bisogna attendere una risposta da Addis Ababa, che finora ha rifiutato tutte le mediazioni proposte sin dall’inizio del conflitto, persino quella dello stesso Hamdok e quella dell’Unione Africana. Abiy ha sempre dichiarato di non gradire nessuna interferenza o mediazione da parte di organismi internazionali e altri Stati.

Chissà se il governo etiopico accetterà il presidente sud sudanese, che ha incontrato proprio la settimana scorsa il primo ministro etiopico a Addis Ababa in occasione di una sua visita ufficiale nel Paese. Kiir governa un Paese reduce di un conflitto interno e dove non mancano tutt’ora scontri etnici.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoerlgyes
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