Tigray in agonia: l’Etiopia ha dichiarato nuovamente guerra ai propri cittadini

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Isaias Afewerki, presidente dell'Eritrea a sinistra, Abiy Ahmend, primo ministro etiopico, a destra

Speciale per Africa ExPress
Isaias Irgau
28 marzo 2021

Esattamente 45 anni fa, il 28 marzo, era una domenica, proprio come oggi, mio padre, Irgau Bahta, che ho avuto la fortuna di amare per i primi 15 anni della mia vita, venne ucciso dai soldati di Addis Ababa nel nostro appartamento, dietro la piazza vicino al Bocciofila. Papà era un asmarino amato, pieno di vita e bontà, faceva l’elettricista presso il negozio Lo Russo nel palazzo Falletta, nella capitale eritrea.

Asmara, Eritrea. Domenica 28 Marzo,1976.

Il tramonto cala sulla piazza vicino alla Bocciofila, penombra nel centro di Asmara. Scoppiano alcuni colpi di arma da fuoco. Il colonnello Bishu, ufficiale di fiducia del dittatore etiope, viene ferito mortalmente, intrappolato dai partigiani eritrei. La furia di Hailé Mariàm Menghistu non ha limiti, ordina che i cancelli del presidio si aprano e consente al terrore di vagare libero, diretto ad annegare la piazza vicino alla Bocciofila. La palma gigante al centro della piazza si prepara per una notte di massacri, il suo nucleo si agita in modo incontrollabile, stringe stretto il brivido delle sue foglie.

Le botte sul portone sono incessanti. Le finestre e le pareti dell’edificio tremano. L’ingresso principale del palazzo cede, una cavalcata di stivali si sta precipitando su per le scale, la punta della lancia si solleva in avanti con le canne dei fucili sferraglianti ammucchiate per concentrare la rabbia dei soldati. Sbuffi e urla accompagnano i militari a caccia di partigiani.

Al primo piano la prima porta è a destra. Tutto il peso dell’unità, calcio e barile, stivali e pallini, sudore e rabbia si riversano sulla fragile porta della mia famiglia con la forza di un temporale. I bambini con gli occhi spalancati pieni di paura sono rannicchiati in un angolo Stivali pesanti calpestano il pavimento delicato; la terra trema. Le uniformi in marcia riverberano come tela per vele nel vento forte, il terrore zigzaga nelle stanze minuscole. Le scorte di fucili rompono gli armadi e le credenze, facendoli a pezzi come pacchi di cartone. Il pavimento è cosparso di panni, farina, semi di lino, lenticchie, shiro (stufato di polvere di ceci o fave) berberè (miscela di spezie) e tesmi (burro chiarificato e stagionato utilizzato largamente nella cucina etiopica e in quella eritrea n.d.r.)

Papà tiene in braccio il figlio più piccolo, la testa accanto alla sua, sulla spalla sinistra. Sta osservando i soldati mentre lo spingono con insolenza. I soldati lo guardano accecati dall’odio. Quegli occhi ardenti non vedono un cittadino che ha bisogno di protezione, un capofamiglia sconfitto che tiene in braccio un neonato, una giovane madre disperata che fa da scudo ai suoi figli, una famiglia inerme senza alcuna protezione. Il nemico è tutto ciò che c’è. Il nemico che i soldati devono annientare.

Un unico colpo, il resto dei rumori si annulla. Un solo colpo per mettere in silenzio il resto. Un singolo pop per porre fine a una vita. Un solo colpo per spazzare via un mondo. Il calore sgorga dal collo del padre; sta tremando di freddo. La madre giace prostrata accanto al corpo senza vita. I suoi capelli ricci, scuri come la notte e forti come l’acciaio, ora giacciono fragili sulle sue mani inumidite.

Guerra nel Tigray

Si è strappata i capelli come facevano tutte le madri afflitte da dolori insopportabili. Non c’è nessuno a bloccarle le mani e trattenerla, non c’è nessuno a sorreggere il suo cuore infermo nell’oscurità di questo vicolo. La collera del dittatore Menghistu si è riversata sulla mia famiglia, isolata dal resto dell’universo. La porta violata rimane socchiusa, lì giace un padre accasciato, esanime sul pavimento, un bambino urlante appeso con un filo alla spalla del papà, una giovane madre piegata sulle ginocchia con le braccia aperte per sollevare manciate di capelli e i suoi lamenti angosciati al cielo turbolento, bambini con gli occhi spalancati, nascosti in un angolo, congelati per sempre dal terrore.

I soldati si sono mossi, in giro per la povera città ad Acria, Idaga Hamus e Idaga Arbi. Altre porte vengono sfondate; più colpi sparati a breve distanza. Le vittime tacciono. I corpi sono svogliati, non c’è traccia di contrazioni. Alcuni sono in pigiama, altri ancora nel loro vestito di domenica. Sono soli e condividono la morte in un cordone; le loro membra si protendono per raggiungersi e completare il cerchio attorno alla palma gigante. La palma gigante al centro della piazza vicino a Boccioflia piange in silenzio. Allunga le sue foglie per sempre, per
coprire la loro solitudine.

Isaias Afewerki, presidente dell’Eritrea a sinistra, Abiy Ahmend, primo ministro etiopico, a destra

Tigrai. Domenica 28 Marzo, 2021

Aby Ahmed, primo ministro dell’Etiopia e Isaias Aferwerki, presidente dell’Eritrea hanno inviato i loro eserciti nel Tigray in cerca dei partigiani, ancora latitanti. La rabbia dei soldati si scatena sulle case di tante famiglie.
Continua la decimazione sfrenata di civili e la distruzione di un’intera società. I soldati hanno dichiarato guerra al popolo. Non c’è nessuno a cui rivolgersi. Per i cittadini del Tigray è una morte solitaria.

Isaias Irgau
Isaias Irgau oggi è medico e vive negli Stati Uniti

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