AFRICA

Prime atroci testimonianze dal Tigray: omicidi e mattanze contro i civili

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
18 febbraio 2021

Ora che finalmente hanno ripreso a funzionare i telefoni, ad Aksum altri testimoni oculari hanno potuto  raccontare ciò che è successo veramente nella città santa, dove, secondo la tradizione, in una cappella accanto alla cattedrale di Nostra Signora Maria di Sion sarebbe custodita l’arca dell’Alleanza, la cassa di legno con coperchio d’oro contenente le Tavole dei dieci comandamenti dettati da Dio a Mosè sul monte Sinai.

Aksum, Tigray. In questa cappella nel grande compound, dove è ospitata anche la cattedrale di Nostra Signora Maria di Sion, è sistemata l’Arca dell’Alleanza

Associated Press (AP) ha potuto parlare con alcuni testimoni, ancora scossi da quanto hanno visto e vissuto e le loro voci tremano al ricordo di quei giorni. “Ovunque c’erano morti, corpi mutilati da colpi di arma da fuoco. Durante la notte si sentiva una sorta di risata e l’ululato tipico delle iene, mentre si cibavano dei cadaveri.  Ci è stato tassativamente vietato di seppellire i nostri cari, i nostri amici e conoscenti”.

Da tempo si sapeva che alla fine di novembre dello scorso anno qualcosa di terribile era successo nella chiesa Nostra Signora Maria di Sion, si parlava di centinaia di morti. Ma non c’erano testimoni e nessun giornalista della stampa libera aveva avuto accesso alla zona di guerra dall’inizio del conflitto.

Wolbert Smidt, un etnostorico tedesco e professore all’università di Makallè, aveva ammonito: “Se attaccate Aksum, attaccate non solo l’identità di tutti gli ortodossi del Tigray, ma anche quella di tutti gli etiopi cristiano-ortodossi”.

A fine novembre di ogni anno il santuario di Aksum ospita migliaia di pellegrini per celebrare l’anniversario dell’arrivo dell’arca nella Chiesa di Nostra Signora Maria di Sion, dopo che la cassa contenete le tavole era sparita da Gerusalemme in tempi remoti.

Ma quest’anno il luogo di culto è diventato rifugio per coloro che scappavano dai combattimenti, per salvarsi la vita. Le truppe etiopiche e quelle eritree erano già arrivate una settimana prima con armi pesanti, c’erano stati anche bombardamenti. Poi gli eritrei sono tornati per uccidere membri delle milizie locali, mobilitate per contrastare il nemico a Aksum e nei villaggi vicini.

Anche Africa ExPress aveva dato notizia di una possibile mattanza a Aksum. Ora finalmente sono emersi dettagli, spaventosi e terribili. E l’anziano, che ha parlato con AP, ha preferito mantenere l’anonimato per paura di ripercussioni, visto che si trova ancora in città. Ha raccontato che sono state ammazzate 800 persone, forse più, durante quel fine settimana di novembre.

L’uomo ha raccontato che c’erano morti vicino alla chiesa e nella città. “Ho aiutato a contare i cadaveri o di quello che era rimasto dei poveri corpi. Ho cercato di prendere le loro carte d’identità per poterli identificare. Infine abbiamo tumulato i poveri resti in fosse comuni”. La mattanza continua ancora in questi giorni. L’AP ha potuto verificare che la settimana scorsa sono stati seppelliti 3 cadaveri, e, secondo l’agenzia che ha citato alcuni testimoni, nelle zone rurali la situazione sarebbe ancora peggiore. Secondo quanto raccolto da AP nei villaggi attorno ad Aksum gli eritrei hanno ammazzato oltre mille persone .

Un altro testimone, Mhretab  di 39 anni che è riuscito a scappare negli Stati Uniti qualche settimana fa, ha affermato che la polizia etiopica non è assolutamente intervenuta per fermare le truppe eritree.

Grazie a testimonianze come queste, emerge tutta la crudeltà di questa guerra, di quanto è successo e succede ancora nel Tigray. Il 4 novembre 2020 il premier etiopico Abiy Ahmed, premio Nobel per la Pace 2019 per aver siglato un accordo  duraturo con l’Eritrea, l’acerrimo nemico di sempre, ha ordinato l’intervento delle truppe di Addis Ababa dopo l’assalto a una base militare a Makallé, capoluogo del Tigray, da parte dei soldati a servizio del governo della regione. Le tensioni tra la leadership di Makallè e il governo centrale si erano già acuite in settembre, quando il Tigray ha indetto le elezioni locali – sospese dalle autorità di Addis Ababa a causa della pandemia – ampiamente vinte dal partito al potere, il TPLF (acronimo inglese per  Tigray People’s Liberation Front).

Già a fine novembre Abiy aveva annunciato la sua vittoria e aveva precisato che nessun civile era stato ucciso. Ha sempre perfino negato un coinvolgimento di truppe eritree nel conflitto. Ma gli annunci di Addis Ababa si stanno lentamente sbriciolando come un castello di carte, anche grazie a testimonianze come quelle raccolta dall’Associeted Press. La scorsa settimana il governo etiopico ha dovuto ammettere che in Tigray sono stati commessi stupri e violenze.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

 

Cornelia Toelgyes

Giornalista, vicedirettore di Africa Express, ha vissuti in diversi Paesi africani tra cui Nigeria, Angola, Etiopia, Kenya. Cresciuta in Svizzera, parla correntemente oltre all'italiano, inglese, francese e tedesco.

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