Segreti, depistaggi e fake news: quattro anni senza Giulio Regeni

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Giulio Regeni

Speciale per Africa ExPress
Elisabetta Crisponi
25 gennaio 2020

Sono passati quattro anni dalla scomparsa in Egitto del ricercatore italiano Giulio Regeni. Il 25 gennaio 2016, nel giorno dell’anniversario dell’inizio delle proteste del 2011 (che hanno portato alla fine della trentennale dittatura di Mubarak) il ventottenne italiano, dottorando all’Università di Cambridge, esce dalla sua casa al Cairo per andare ad una festa di compleanno dove non arriverà mai.

Il suo corpo, seminudo e con segni di tortura, viene ritrovato il 3 febbraio lungo la superstrada che collega il Cairo con Giza. Da quel momento la Procura del Cairo e quella di Roma hanno avviato inchieste parallele. È stato ipotizzato un incidente, un omicidio passionale, persino lo spaccio di droga. Fino ad arrivare all’uccisione, da parte della polizia egiziana, di cinque presunti responsabili. A casa di uno di loro venne ritrovato il passaporto di Giulio, in realtà portato lì da un agente dei servizi segreti egiziani.

Giulio Regeni

Ad oggi, per i Pm italiani, Giulio è stato torturato e ucciso perché ritenuto una spia. La vera collaborazione tra i due Paesi, in realtà, non c’è mai stata. Agli italiani è stato concesso di interrogare alcuni testimoni solo per pochi minuti, i filmati delle telecamere nella stazione della metro, dove lo studente è scomparso, sono stati cancellati. I rapporti diplomatici tra l’Italia e l’Egitto si sono incrinati: l’8 aprile 2016 è stato richiamato a Roma l’ambasciatore italiano dal Cairo, per poi essere rinominato il 15 agosto 2017, tra le polemiche.

C’è stato anche chi ha gridato al complotto, vedendo la vicenda un’occasione per far interrompere le relazioni tra l’ENI e l’Egitto. Presto la crisi diplomatica ha iniziato a puzzare di petrolio. In questo momento le relazioni tra i due Paesi persistono, ma il 26 gennaio 2019, il presidente della Camera Roberto Fico ha accusato il presidente egiziano di aver mentito sull’omicidio.

Ad aprile 2019 il premier Giuseppe Conte ha incontrato al-Sisi e lo scorso dicembre ha ribadito, con una chiamata al presidente egiziano, l’urgenza di collaborazione per risolvere il caso.

Giulio era soprattutto un ragazzo che amava ciò che faceva. Aveva frequentato il liceo a Trieste per poi partire all’estero. Una borsa di studio l’aveva portato in un liceo del New Mexico, negli Stati Uniti. Era poi tornato in Europa. Si era laureato a Oxford, e poi iscritto a Cambridge, per il Dottorato di Ricerca, motivo del suo trasferimento al Cairo.

Giuseppe Conte, presidente del Consiglio dei ministri italiano e Abdel Fattah al-Sisi , presidente dell’Egitto

Sapeva parlare cinque lingue e ogni tanto scriveva per alcune testate giornalistiche sotto pseudonimo. Aveva vinto due premi, nel 2012 e nel 2013, al concorso internazionale ”Europa e giovani”, promosso dall’Istituto regionale per gli studi europei per ricerche e approfondimenti sul Medio Oriente.

In Egitto aveva fatto amicizia con scrittori e artisti, passava le giornate a intervistare gli ambulanti, frequentando i loro ambienti. A dicembre 2015 partecipò ad una riunione di attivisti del sindacato, notando una ragazza velata che lo fotografava col cellulare, fatto che lo aveva turbato. Col passare del tempo, il rapporto con il capo del sindacato degli ambulanti Mohammed Abdallah, si era rovinato. All’inizio di gennaio del 2016, avevano discusso per una borsa di studio di 10 mila sterline (11 mila euro), offerta da un’organizzazione no-profit britannica, la “Antipode foundation”. Abdallah chiese a Regeni se quella cifra poteva essere usata per progetti d’attivismo politico, o per poter curare sua moglie, cosa che gli venne negata dal giovane ricercatore.

Di questa conversazione, registrata dal sindacalista all’insaputa di Giulio, si può rintracciare il video su YouTube:

https://www.youtube.com/watch?v=bwo61fQDcYw).

Dalla presa di potere di al-Sisi, nel 2014, 80 mila egiziani sono stati arrestati e torturati, molti di questi condannati a morte. Intanto, alle accuse dei Paesi occidentali e degli enti per i diritti umani, il governo egiziano risponde ribadendo la sua determinazione nel combattere ciò che reputa terrorismo.

Mentre il bianco candido del tricolore egiziano sbiadisce sempre più tra il nero dell’oscurità e il rosso del sangue, chiediamo ad un altro tricolore, quello italiano, di esigere verità sulla morte di questo ragazzo, figlio della sua terra e amante del mondo.

Elisabetta Crisponi
elicrisponi@hotmail.it

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