Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 1°ottobre 2019
La tensione era palpabile ovunque nell’aula del tribunale di Rabat, la capitale del Marocco, dove ieri si è svolto l’ultima udienze del processo contro la giovane giornalista Hajar Raissouni, accusata di aborto illegale e atti contro la morale pubblica
La sentenza è stata severissima: un anno di galera per lei e il suo fidanzato sudanese, Rifaat al-Amin. Mentre il medico, ritenuto colpevole di aver effettuato l’interruzione di gravidanza non autorizzata, deve scontare due anni di detenzione e per altri due anni non sarà autorizzato dell’esercizio all’esercizio della professione medica. Otto mesi, ma sospensione della pena, sono stati inflitti alla segretaria del dottore e un anno all’anestesista, anche lui non dovrà scontare la pena.
Appena pronunciato il verdetto, i familiari della giornalista sono scoppiati in lacrime. Poi, a gran voce hanno pronunciato il nome della loro congiunta, hanno alzato le braccia e con le dita hanno formato la lettera “V”. Altrettanto a fatto Hajar, mentre gli agenti la spingevano nella camionetta per riportarla in prigione. E la foto di quell’attimo ha fatto il giro nei social network marocchini che stanno sostenendo la causa della giovane giornalista.
E lo zio di Hajar, Souleymane Raissouni, giornalista e capo-redattore di Akhbar Al Yaoum del quotidiano indipendente per il quale scriveva pure la nipote, ha espresso il suo disappunto e ha detto: “Si tratta di una condanna dura e ingiusta”.
La ragazza aveva affermato ripetutamente di non aver abortito, ma di aver consultato un medico per una forte emorragia interna.
Per Raissouni la risposta di una tale sentenza è semplice: “Mia nipote è stata condannata per le sue idee, per le sue prese di posizione, di quelle della sua famiglia e del giornale per il quale scriveva”. Lo stesso pensiero è stato espresso da un altro parente della ragazza, Youssef Raissouni, segretario generale dell’associazione dei diritti dell’uomo in Marocco, che ha precisato: “Questo verdetto dimostra il non rispetto delle leggi e della libertà nel nostro Paese”.
La settimana scorsa un collettivo di personalità di spicco e di gente comune avevano firmato un manifesto di solidarietà, pubblicato da diversi quotidiani locali e dal francese Le Monde. Il raggruppamento, pur non avendo partecipato al processo, in un comunicato ha annunciato la sentenza, sottolineando il proprio disdegno e disappunto. E Amnesty International lo considera un colpo davvero devastante al diritto delle donne.
Gli avvocati della Raissouni hanno annunciato che depositeranno ricorso alla sentenza.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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