Mogadiscio: accanto al comando italiano il mercato dell’amore

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Contingente italiano in Somalia

DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Mogadiscio, 30 agosto 1993

La città è distrutta, ma la vita continua. Secondo i mezzi a propria disposizione la popolazione si industria in attività dove la sicurezza sia garantita dalla presenza di truppe straniere. Vicino al “check point Banca” (si chiama così perché è all’incrocio di quella che era la Banca Commerciale Italiana) controllato dai bersaglieri, è sorto un mercatino che gode dell’inconsapevole protezione dei militari di guardia al posto di blocco. Di fronte all’ambasciata italiana, dove c’è il comando delle nostre truppe, è stato in fretta e furia organizzato un albergo, l’Hotel Amana, carissimo quanto poco confortevole, il cui gestore è un ex legionario francese, italiano di nascita, Vincenzo Leonardi.

La proprietaria è una gentile signora della ricca famiglia Kassim, una delle più influenti del clan murursade. La protezione degli italiani qui è meno discreta e alcuni ufficiali arrivano addirittura a rassicurare proprietaria e gestore sull’arrivo di nuovi clienti.

Fastidiosa, invece, è stata la protezione concessa per qualche tempo a un bordello sorto e organizzato con tutti i crismi a fianco al comando italiano. Bastava scavalcare un muro e, dall’ inferno della guerra, si passava ai piaceri del settimo cielo.

Contingente italiano in Somalia

Un impero dei sensi casereccio, ma che comunque rendeva bene a signorine e maitresse. E poi, a buon mercato: dieci dollari “a seduta”. Il traffico al di là del muro, però, come raccontano i ragazzi che ora stanno tornando in Italia, era divenuto troppo intenso e politicamente ingombrante. Così qualche giorno fa qualcuno degli ufficiali ha chiesto l’ intervento della polizia somala per stroncare quel mercato dell’amore. Gli agenti locali hanno sbagliato però l ora dell’irruzione e sono entrati nei locali del peccato nel momento di maggior affluenza.

Clienti e signorine sono stati colti sul fatto. Panico, fuggi fuggi generale, urla e gridolini, come si conviene in un’occasione del genere, e una velocissima arrampicata sul muro per rientrare nel recinto dell’ ambasciata. Qualche ragazza ha cercato la via di fuga per la stessa strada del suo compagno occasionale.

Una scalata troppo difficile che non ha impedito a tutti di sottrarsi agli inseguitori e di finire in manette. “Qui non esiste legge –  si è lamentato un parà -. In base a cosa le hanno arrestate?”. Qualcuno giura che non si trattava di un bordello, ma di un luogo dove somale e italiani, tra cui era nato un amore, potevano tranquillamente incontrarsi.

Ma i comandanti italiani hanno grattacapi relativi se paragonati a quelli dei loro colleghi americani della Sword Base, una delle basi USA di Mogadiscio, dove ben 12 marines (10 neri e due bianchi) della 226 compagnia si sono convertiti all’Islam: “Ho imparato la religione musulmana quaggiù – racconta Alan Vault -. Ho discusso con i soldati dei contingenti arabi e con i pachistani e mi sono convinto”.

“Sono sicuro che la mia famiglia resterà un po’ confusa – aggiunge il sergente Tyrone Morion -. Ma sono anche convinto che rispetteranno la mia decisione”. I nuovi musulmani hanno organizzato un luogo dove pregare. Per quel che riguarda il cibo, non hanno un’alimentazione speciale, ma hanno ottenuto che dal loro menù fosso tolto il maiale. “Al venerdì – puntualizza Vincent Gallimore –  possiamo tranquillamente andare nelle caserme dei contingenti dei Paesi islamici e preghiamo con loro. Non abbiamo neppure problemi con i colleghi della nostra compagnia”.

Qualcuno insinua che per questi ragazzi la missione in Somalia abbia significato una rottura con il passato. E loro hanno voluto renderla ancora più netta troncando tutti i legami con la loro religione d’ origine.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

L’articolo publicato dal Corriere della Sera il 30 agosto 1993

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