Guinea Equatoriale: i quarant’ anni di terrore di Teodoro Obiang

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Teodoro Obiang Nguema, presidente della Guinea Equatoriale

Speciale per Africa ExPress
Isidore Senghore
5 agosto 2019

Il 3 agosto 1979 il regime dittatoriale della Guinea Equatoriale facente capo a Francisco Macias Nguema, primo presidente della piccola nazione africana indipendente dalla Spagna nel 1968, tramontava in seguito a un colpo di Stato.

Quel golpe fu condotto con i moschetti dei militari guidati dal nipote del dittatore, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, che ribattezzò quell’evento “Colpo della Libertà”, a sua volta sostenuto dal Gabon del neo-dittatore Omar Bongo. Macias fu destituito il 5 agosto, arrestato, accusato per 101 volte di genocidio, deportazione di massa e rapina, processato sommariamente e condannato a morte. Il 29 settembre fu giustiziato nel carcere di Black Beach a Malabo, isola di Bjoko, tramite fucilazione avvenuta per mano di truppe marocchine assoldate per l’occasione. Nessuno in Guinea Equatoriale avrebbe avuto mai il coraggio di uccidere chi, si diceva, possedeva poteri magici. Macias fu sostituito dopo l’arresto dal leader della rivolta, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, che il 10 ottobre istituì il Consiglio Militare Supremo da lui stesso presieduto.

Teodoro Obiang Nguema, presidente della Guinea Equatoriale

Il periodo tra agosto e ottobre del 1979 fu in un certo senso un tragico presagio per gli anni a venire della Guinea Equatoriale: con 40 anni di carriera alle spalle oggi Teodoro Obiang Nguema Mbasogo è ufficialmente il leader africano e mondiale più longevo attualmente in carica, esclusa la regina d’Inghilterra Elisabetta II. È stato riconfermato alle elezioni del 1989, del 1996, del 2002, del 2009 e del 2016 e ne sono stati denunciati ripetutamente e da più voci gli abusi: i diritti umani violati, la cleptocrazia, la repressione di qualsiasi opposizione politica, il nepotismo, la violenza sono parole che a malapena aiutano a descrivere l’agire di Obiang e della sua famiglia.

Giunto al potere Obiang si trovò tra le mani un’economia disastrata e un Paese sull’orlo del collasso finanziario e demografico: durante la dittatura dello zio Macias oltre 100.000 guineani, su una popolazione di 300.000 persone, fuggirono per le persecuzioni del gruppo di potere facente capo al clan di Mongomo (di etnia Fang) e altri 50.000 furono brutalmente ammazzati, un sesto del totale della popolazione. Un genocidio, in termini relativi e non assoluti, secondo solo a quello attuato da Hitler in Europa una trentina di anni prima. Tuttavia Obiang non si è certamente dimostrato, nei successivi 40 anni, migliore dello zio: il clan di Mongomo oggi controlla tutti i centri di potere politico, giudiziario ed esecutivo, l’esercito e la polizia e le ambasciate in giro per il mondo, Italia compresa. Cecilia Obono Ndong, ambasciatrice della Guinea Equatoriale in Italia e decano del Corpo Diplomatico Africano, è nipote del Presidente Obiang. Nei primi anni Novanta il paese scoprì di galleggiare sulle riserve petrolifere più importanti del continente africano. L’arrivo delle Sette Sorelle del petrolio non ne ha tuttavia migliorato l’economia, se non nelle statistiche: il clan al potere, dal Presidente in giù, si è infatti accaparrato la maggior parte delle risorse economiche derivanti dalla vendita delle concessioni petrolifere (e delle foreste e dei minerali e degli appalti) dimostrandosi sempre non solo famelica ma insaziabile.

Oggi Teodoro Obiang Nguema Mbasogo ha 77 anni, 40 dei quali trascorsi al potere. Ha denunciato, nel corso degli anni, almeno una decina di tentativi di colpi di Stato a suo danno, tutti falliti. Ha una guardia presidenziale composta da forze speciali marocchine, la sua sicurezza personale è garantita da ex-agenti del Mossad israeliano e l’imbarazzo della scelta quando deve decidere in quale palazzo andare a riposare la sera. Un vero potere assoluto, ripetuto come un matra dalle radio e dalle televisioni che lo collocano persino “sopra a Dio”. La moglie, Constancia Mangue, detiene una buona fetta del potere economico nel ramo degli appalti pubblici e il suo nome è persino più temuto di quello del marito presidente. Il figlio Teodorin, 51 anni e vicepresidente in lizza per il trono, è noto in mezzo mondo per le sue scorribande: riciclaggio di denaro, traffico di droga, affari poco puliti e amici importanti, come il rapper Akon e l’ex-presidente francese Nicolas Sarkozy, giusto per citarne due dei più noti. L’altro figlio, Gabriel, è alla guida di una fazione numerosa inversa al fratello Teodorin e detiene anch’egli un potere enorme, come ministro e uomo di Stato. E poi c’è l’intera corte degli Obiang: migliaia di persone tra parlamentari, ministri, uomini politici, imprenditori, magistrati e chi più ne ha più ne metta, che si spartiscono una torta (economica e di potere) che in realtà è sempre meno succulenta.

Teodorin Nguema Obiang nel suo jet privato. Fonte Instagram.

Tra due anni Teodoro Obiang raggiungerà Muammar Gheddafi al primo posto della classifica dei leader politici più longevi di sempre in un Paese non monarchico e il terrore del presidente guineano è di fare la stessa fine del suo collega. Quarant’anni di terrore e violenza, cercando di mantenere nell’ignoranza la popolazione, giocano tutti a suo favore: nessuno, in patria, sembra essere in grado di far breccia nel complesso e avido sistema di potere da lui creato. I guai peggiori potrebbero arrivare dalla sua stessa famiglia, nella guerra intestina tra Gabriel e Teodorin ma forse, se mai si arriverà allo scontro, Teodoro Obiang Nguema Mbasogo sarà già morto.

Isidore Senghor
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