
Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
Milano, 26 febbraio 2019
In Nigeria si è votato il 23 febbraio e i risultati stanno affluendo ai centri di raccolta. Il Paese è il più popolato dell’Africa (quasi 200 milioni di abitanti) il conteggio dei voti è piuttosto complicato.
A contendersi lo scranno più alto dell’ex colonia britannica sono il presidente uscente Muhamadu Buhari (dell’All Progressives Congress) e Atiku Abubakar (del People’s Democratic Party), noto anche per i suoi rapporti con la mafia siciliana. Buhari è in testa in numerosi Stati e la vittoria sembra a portata di mano.
Il Paese, strabordante di petrolio, è corrotto fino al midollo. Risultato: politici ricchissimi e popolazione poverissima. Nel sud operano gruppi di militanti che rivendicano una difficile equità sociale e nel nord i terroristi di Boko Haram spadroneggiano quasi indisturbati.
In questo coacervo sociale esplosivo, Muhammadu Buhari e Atiku Abubakar, hanno condotto una durissima campagna accusandosi reciprocamente di corruzione. Atiku è stato vicepresidente a cavallo dal 1999 al 2007 sotto Olusegun Obasanjo, che l’aveva sospettato di distrazione di fondi e di essersi costruito una fortuna quand’era vice capo delle dogane, una posizione di tutto rilievo in un Paese così corrotto. Buhari era diventato capo dello Stato una prima volta nel 1983, grazie a un golpe, e due anni più tardi era stato a sua volta rovesciato dai militari, accusato di corruzione. Nel 2015 è stato eletto con una agenda che al primo posto aveva la lotta al malaffare.
Negli ultimi giorni di campagna elettorale, i due si sono combattuti a colpi di pesanti accuse.
Un portavoce di Atiku ha sostenuto senza mezzi termini che il presidente uscente ha “una lunga storia di riciclaggio di fondi rubati”. Ha citato per questo uno scandalo del 1984. Cinquantatré valigie provenienti dall’Arabia Saudita e appartenenti all’attendente di campo di Buhari erano state sdoganate senza nessun controllo. Secondo l’accusa erano imbottite di dollari contanti.
Nel 2015 Muhammadu Buhari è stato eletto dai nigeriani che speravano in un serio impegno nella lotta contro la corruzione. Effettivamente sono state avviate numerose indagini contro politici di alto profilo, la maggior parte però è stata diretta a colpire i membri del precedente governo. Insomma, la guerra al crimine politico non è stata imparziale. Anche parecchi processi a carico dei dirigenti dell’attuale amministrazione sono stati accantonati. “Si ha la sensazione – spiega un diplomatico occidentale contattato per telefono ad Abuja, la capitale della Nigeria – che gli amici e gli alleati di Buhari siano trattati con il guanto di velluto, mentre i membri dell’opposizione con il pugno di ferro”.

Atiku Abubakarèuno è uno degli uomini più ricchi e potenti della Nigeria. Ha un socio d’affari italiano, Gabriele Volpi, naturalizzato nigeriano. Una commissione di inchiesta del Senato americano ha accertato ingenti tangenti pagate alla coppia da società petrolifere.Volpi e Atiku a Port Harcourt, la capitale petrolifera della Nigeria, sono proprietari di una società, la INTELS (Itegrated Logistic Systems), che gestisce un immenso “rifugio per espatriati” cioè una cittadella cintata e blindata con villette, campi da tennis, piscine, ristoranti, ma soprattutto guardie di sicurezza che sorvegliano dappertutto contro ladri, rapinatori e sequestratori, gente che nella ricca area del Delta del Niger abbonda. Lì vivono, praticamente, tutti gli stranieri che lavorano nell’industria del petrolio.
A Port Harcourt prospera un complicato arcipelago umano in cui coabitano uomini d’affari occidentali in smoking, politici corrotti, militari senza scrupoli, banditi da strada, sgozzatori di professione e, naturalmente, 007.
Atiku Abubakar ha solide amicizie in Italia. Nell’agosto 2003, tre mesi dopo la sua rielezione come vicepresidente, viene in Sicilia, ospite di Domenico Gitto, proprietario della Gitto Costruzioni Generali Nigeria Ltd, sospettato, secondo rapporti di intelligence, di fungere da “ufficiale di collegamento” con il clan di Bernardo Provenzano. Lo accompagnano la moglie Jennifer Douglas Abubakar, due dei suoi fedelissimi, Boni Haruna, allora governatore dell’Adamawa State (quello natale di Atiku), Musa Adade, un ex senatore, e due italiani, Gabriele Volpi e Gian Angelo Perrucci, allora capo dell’INTELS.
Gitto, poche settimane dopo, ottiene ordini da varie agenzie governative nigeriane per oltre 100 miliardi di Naira (500 milioni di euro). Tra i proprietari dell’INTELS e costruttori siciliani però non tutto va nel verso giusto, questi ultimi perdono alcune commesse e Domenico Gitto muore di infarto (qualcuno sospetta che non sia stato propriamente un arresto del miocardio). Il denaro che ha lasciato in Africa, diversi milioni di euro, infatti sparisce.
I rapporti di Atiku con la mafia siciliana hanno richiamato l’attenzione degli investigatori del Congresso Americano che hanno accusato il potente politico/businessman nigeriano di riciclaggio di denaro sporco.
In un rapporto del Senato USA si legge che tra il 2000 e il 2008 Volpi e la sua famiglia avrebbero trasferito in tre conti americani – uno dei quali appartiene alla moglie di Atiku, Jennifer Douglas, cittadina USA – almeno 45,1 milioni di dollari, provenienti da affari illeciti e da corruzione (compresi 1,7 milioni parte di una bustarella proveniente dalla società tedesca Siemens AG, e 38 milioni di una tangente pagata da alcune società offshore meno conosciute, la LetsGo Ltd. Inc., la Guernsey Trust Company Nigeria Ltd., a la Sima Holding Ltd.”).
Massimo A. Alberizzi
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