AFRICA

L’Italia usò i gas nella guerra d’Etiopia? Ottant’anni dopo spunta una verità inedita

Dal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 18 maggio 2018

Sì, è fuor di dubbio: l’Italia le armi chimiche le usò eccome. Dopo la sanguinosa sconfitta di Adua, Mussolini non voleva rischiare un’altra debache militare e su richiesta del maresciallo Pietro Badoglio, che nel 1935 era capo di stato maggiore del regio esercito, autorizzò l’uso delle armi chimiche “per casi eccezionali e solo per supreme ragioni di difesa”. Naturalmente queste circostanze “eccezionali” e “supreme” furono stabilite da Badoglio che, una volta ottenuto il via libera, decise di utilizzare i gas senza farsi troppe remore.

Tuttavia, la recente revisione storica di Pierluigi Romeo di Colloredo – pubblicata in questi giorni sul n° 67 di “Storia in Rete” – tenta di riportare l’accaduto entro gli inderogabili binari fattuali, senza fare sconti a nessuno, ma anche senza avvalorare enfatizzazioni propagandistiche. Se è vero che il regime fascista, fino a quando fu in vita, non fece mai cenno all’utilizzo di armi chimiche in Etiopia, è altrettanto vero che nella Repubblica nata dopo il secondo conflitto mondiale, si crearono due fazioni opposte, l’una dedita a minimizzare scientemente (e colpevolmente) la portata dell’evento, l’altra soggiogata dal delirio di drammatizzarlo fino alla leggenda.

L’Imperatore d’Etiopia Haile Selassie

Se i negazionisti giunsero alla puerile affermazione che le forze italiane non avevano utilizzato la micidiale iprite, troppi sedicenti storici nostrani ed europei si affidarono totalmente alle strampalate versioni della propaganda etiopica che Romeo di Colloredo ritiene affidabile “quanto un bollettino di guerra napoleonico”. Un calderone, insomma, cui attinsero a piene mani anche molti storici britannici tra i quali Anthony Mockler e Denis Mack Smith che nelle loro rispettive opere “Haile Selassie’s War”e “Le guerre del duce” spararono a zero sul fascismo, demonizzandolo soprattutto in ragione dell’uso delle armi chimiche.

Il Re d’Italia Vittorio Emanuele III con il Generale Pietro Badoglio

“L’impiego delle armi chimiche fu certamente un grave errore – ammette Romeo – anche perché non portò alcun beneficio all’esito del conflitto”. E quindi servì solo a far denigrare una volta di più il regime fascista e l’Italia, ma il dovere di uno storico non è quello di dedicarsi a riprovazioni morali; è quello di fornire una cronaca puntuale, oggettiva e pragmatica di quanto accaduto, senza cedere a pulsioni emotive o umorali. Fatta questa premessa occorre ricordare che l’Italia non fu né l’unica né la prima potenza militare che ricorse alle armi chimiche per risolvere conflitti.

Prima di lei lo fecero le truppe del Kaiser nel primo conflitto mondiale del 1915-18. L’utilizzo fu aspramente criticato da tutti i paesi europei con Gran Bretagna in testa, ma solo due anni dopo fu la stessa Gran Bretagna a utilizzare i gas nella cittadina irachena di Ypres in Iraq, per sedare la rivolta delle tribù curde che reclamavano l’indipendenza. Quell’uso fu autorizzato da un uomo destinato a diventare uno dei più autorevoli simboli della storia britannica: Winston Churchill, che disse testualmente: “ Sono senz’altro favorevole all’uso di gas velenosi contro tribù non civilizzate”. Anche l’Italia impiegò armi chimiche contro gli austriaci nel 1918, sul monte Grappa, agli ordini del generale De Bono, ma nessuno allora protestò perché in quella guerra, l’Italia era alleata ai vincitori.

 Nel 1926, Spagna e Francia, usarono a loro volta armi chimiche in Marocco con il lancio di bombe all’iprite per spegnere la ribellione delle truppe berbere. Stessa cosa fece Stalin un anno dopo a Tambov, nella Russia sud-occidentale contro la rivolta dei braccianti agricoli. Tra il 1937 e il 1945, i giapponesi, nel conflitto contro la Cina, sotto il comando del generale Shiro Ishii, non solo utilizzarono iprite e lewisite, ma anche armi batteriologiche che diffusero gravi epidemie come colera, tifo e dissenteria.

Vignetta satirica britannica su Benito Mussolini

Le critiche rivolte all’Italia per l’impiego delle armi chimiche in Etiopia, sia dai suoi censori interni, sia da quelli esterni (Gran Bretagna e Francia in testa) trovano una certa legittimazione nel fatto che solo nel 1996, sotto il governo di Lamberto Dini, l’Italia ammise, tardivamente, di aver fatto uso di gas nella campagna coloniale d’Abissina, cosa che fino a quel momento non aveva voluto ammettere. Che però sia stata la Gran Bretagna a salire per prima sul podio degli accusatori, è quantomeno ipocrita, visto che proprio l’esercito di Sua Maestà, fece uso dei gas nel 1931 e nel 1935 a Sulainam in Iraq e in Afghanistan contro la tribù ribelle dei Pathane.

La recente ricerca di Romeo di Colloredo, non tende quindi ad assolvere l’Italia per l’uso delle armi chimiche in Etiopia, ma dopo ottant’anni di verità celate e ipotesi strumentalizzate, ha finalmente lo scopo di contestualizzare questa deprecabile scelta, senza dover sempre soggiacere alla logica di una storia scritta con un solo occhio da parte dei vincitori.

Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@FrancoKronos1

Redazione Africa ExPress

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