AFRICA

Pechino rafforza la penetrazione in Africa: aperta la prima base militare a Gibuti

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 30 luglio 2017

Se fino ad oggi Pechino era attiva nel Continente africano soprattutto in ambito commerciale, ora mira più in alto. Nei prossimi giorni aprirà ufficialmente la sua base militare megagalattica a Gibuti, Paese che ospita già altre quattro basi; oltre a quella italiana di supporto, una francese, una statunitense e persino una giapponese.  

L’accordo tra Pechino è Gibuti è stato siglato da Xi Jinping, il leader cinese e Ismaïl Omar Guelleh, presidente dell’ex colonia francese nel Corno d’Africa, nel dicembre 2015 a Johannesburg, a margine del sesto vertice Cina-Africa. Gibuti non è stata una scelta casuale: il territorio gibutino è la porta d’entrata per l’Africa dell’est. I cinesi avrebbero potuto anche optare per il Sultanato dell’Oman;  hanno scelto invece l’ex Costa francese dei Somali, probabilmente anche per la presenza degli americani, che appena appreso la notizia dei nuovi vicini, hanno rimodernato e ingrandito la propria sede militare, altrettanto hanno fatto i giapponesi.

A destra, Xi-Jinping, presidente della Cina, a sinistra Ismail Omar Guelleh, presidente del Gibuti

La nuova base di Pechino, la prima in Africa, si trova vicino al porto di Doraleh e la Zona franca di Gibuti, entrambi costruiti sempre dai cinesi stessi, ufficialmente, non dovrebbe ospitare più di quattrocento uomini. Altre fonti, invece, confermano che questa installazione dovrebbe poter accogliere fino a diecimila unità entro il 2026, anno entro il quale la base assumerà il ruolo di un avamposto della Cina in Africa.

Jinggangshan (SD 999)

I primi soldati di Pechino hanno preso il largo alla volta di Gibuti a bordo della nave 999 Jinggangshan (Classe Type 091) e il semi-sommergibile 868 Donghaidao, di 175,5 metri di lunghezza, l’11 luglio scorso dalla base navale di Zhanjiang. La cerimonia di partenze è stata presieduta da Shen Jin Long, comandante in capo della marina militare cinese.

Secondo l’agenzia Stratfor, fondata nel 1996 da George Friedman, molto vicina alla CIA e ad altri servizi statunitensi, la superficie della base navale cinese è impressionante: una parte terrestre, dunque visibile e una parte sotterranea che si estenderebbe su ben ventitremila metri quadrati e dovrebbe essere suddivisa su tre livelli molto protetti. In un dettagliato rapporto, pubblicato il 26 luglio scorso, Stratfor sottolinea che le costruzioni sotterranee permetterebbero di effettuare delle attività non visibili dall’esterno, dunque segrete, offrendo così anche protezione ai velivoli e alle installazioni critiche di questa missione cinese nella ex colonia francese.

Un soldato cinese di guardia ad Aden alla nave che sta imbarcando il personale da trasferire a Gibuti

La base navale, come viene descritta dettagliatamente nel rapporto di Stratfor, è ben lontana da essere un semplice supporto logistico, perché nei tre livelli sotterranei sono previsti anche degli hangar per aerei e una grande superficie asfaltata, senza ovviamente contare le strutture esterne.

Oltre duemilacinquecento tra soldati e agenti di sicurezza sono già presenti in tutta l’Africa come caschi blu nell’ambito di alcune Missioni delle Nazioni Unite: nel Sud Sudan con 1.051 uomini, in Liberia con 666 e in Mali con 402.

Il 27 giugno, il giorno dell’Indipendenza, soldati cinesi hanno marciato lungo le strade di Gibuti; quest’anno ricorreva il quarantesimo anniversario dalla fine della colonizzazione francese.

Sia i quotidiani cinesi che le autorità di Pechino hanno sottolineato in queste ultime settimane che la missione di Gibuti è assolutamente pacifica. Il portavoce del ministro degli esteri Geng Shuang, ha ricordato a questo proposito che il suo Paese è presente nel Golfo di Aden e lungo la Costa somala dal 2008, in missioni di scorta alle navi mercantili per proteggerli dai pirati e ha aggiunto: “Questa base ci permetterà di migliorare le nostre operazioni e di contribuire allo sviluppo socio-economico di questo piccolo Paese del Corno d’Africa”.

Per ottenere consensi non solo da parte del governo e del presidente Guelleh, bensì anche dai gibutiani stessi, Pechino ha messo mano al portafoglio, stanziando finanziamenti per oltre 12,2 miliardi di Euro per infrastrutture, come ferrovie, porti, strade, scuole, edifici amministrativi e l’Istituto Confucio, senza contare l’affitto per il terreno della base, che ammonta a cento milioni dollari annui. Gli USA ne pagano “solamente” sessanta all’anno per la loro concessione.

 La Banca cinese per l’import-export è fortemente coinvolta nei finanziamenti di queste infrastrutture e sembra quasi che la presenza dei militari cinesia sia anche una sorta di garanzia per proteggere i loro investimenti.

Non dimentichiamo che la Cina ha promesso altri sessanta miliardi di dollari in tutta l’Africa e altri mille miliardi nell’ambito delle nuove vie della seta, che attraverseranno anche alcune parti del  continente, Gibuti compresa. Investimenti enormi con la presenza di oltre diecimila imprese cinesi e oltre un milioni di espatriati della Repubblica Popolare.

La difesa degli interessi nazionali e dei mari sono ora tra le priorità di Xi Jinping e presto potrebbero sorgere altre basi militari in Africa, per esempio a Walvis Bay, in Namibia.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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