Nigeria tra corruzione, miseria, tribalismo e il terrorismo di Boko Haram

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Nigeria

Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 29 giugno 2017

Il presidente della Nigeria Muhammadu Buhari ha lasciato la sua residenza ad Abuja il 7 maggio per la volta di Londra, dove si trova tutt’ora per terapie mediche, non si sa per quale patologia, che viene tutelata come un segreto di Stato (http://www.africa-express.info/2017/05/05/buhari-e-ammalato-la-nigeria-ripiomba-nel-caos-con-la-corruzione-che-torna-ai-massimi-livelli/). Da allora Buhari non è più apparso in pubblico. La popolazione protesta, perché durante tutto questo periodo anche il jet presidenziale si trova in uno degli aeroporti londinesi e i contribuenti nigeriani dovranno versare almeno milletrecento dollari al giorno per la sosta dell’aereo. Anche se la ex colonia britannica è ricchissima di petrolio, la maggior parte della popolazione vive con meno di due dollari al giorno.

La corruzione, il terrorismo, gli scontri etnici e mille altri problemi affliggono il gigante dell’Africa, che, durante l’assenza di Buhari, eletto nel 2015, viene guidato dal suo vice, Yemi Osinbajo, un abile avvocato di Lagos, la capitale finanziaria della ex colonia britannica, che con i suoi centottanta milioni di abitanti è lo Stato più popolato del continente africano.

Nigeria
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La lotta contro la corruzione, che è stata uno dei cavalli di battaglia di Buhari durante la sua campagna elettorale, ha portato finora ben pochi frutti. Sabato scorso un investigatore della Commissione contro i crimini di corruzione economica e finanziaria (Economic and Financial Crimes Commission), EFCC, è stato ferito da colpi di arma da fuoco a Port Harcourt, capoluogo del River State, nel Delta del Niger.

Prima dell’incidente, l’investigatore dell’EFCC, Austin Okwor, avrebbe ricevuto diversi SMS con minacce pesanti. Attualmente Okwor è ricoverato all’ospedale della città.

Per fortuna, proprio dalla regione del Delta del Niger, giungono anche notizie positive. I New Niger Delta Avengers (tradotto liberamente in italiano: i nuovi vendicatori del Delta del Niger), hanno ritirato proprio in questi giorni le terribili minacce di voler attaccare nuovamente gli impianti delle compagnie petrolifere a partire dal 30 giugno 2017. Il gruppo “New Delta Niger Avengers” è sicuramente collegato ai “Niger Delta Avengers”  che lo scorso anno avevano effettuato parecchi sabotaggi agli impianti petroliferi, mettendo in serie difficoltà l’economia del Paese, basata principalmente sull’oro nero e i suoi derivati (http://www.africa-express.info/2016/05/09/delta-del-niger/) (http://www.africa-express.info/2016/07/02/attacco-a-tecnici-delleni-in-nigeria-tre-morti-tra-cui-un-italiano/).

Combattenti Niger Delta Avengers
Combattenti Niger Delta Avengers

In un comunicato il gruppo ha annunciato mercoledì scorso di voler dare una possibilità al proseguirsi dei colloqui tra il governo e gli amministratori locali. “Vogliamo dare un’opportunità alla pace” – hanno sottolineato nel loro messaggio. Si spera che le negoziazioni tra Stato centrale e autorità del luogo proseguano. La parola pace è un vocabolo ormai quasi scomparso nella quotidianità nigeriana e non solo.

Negli ultimi mesi sono stati cacciati via con la forza decine di migliaia di persone, da due baraccopoli situate vicino al mare a Lagos. Il governo non ha usato le maniere gentili certamente le maniere gentili durante lo sgombero. Otodo Gbame e Itedo, due villaggi “abusivi”, abitati soprattutto da pescatori, sono stati praticamente rasi al suolo, e i residenti ora sono dei senza tetto, costretti a dormire per strada, hanno perso quel poco che possedevano e ogni possibilità di sostentamento.

Desolazione dopo gli sgomberi forzati di villaggi abusivi di pescatori a Lagos
Desolazione dopo gli sgomberi forzati di villaggi abusivi di pescatori a Lagos

Ora una Corte nigeriana ha dichiarato incostituzionale il provvedimento del governo, in particolare per quanto concerne Otodo Gbame, in quanto non era stato previsto e organizzato un piano di reinsediamento alternativo. I giudici hanno ordinato alle autorità di interrompere gli sgomberi forzati e di risarcire gli abitanti dei danni subiti. Inizialmente il Lagos ha negato l’evidenza, affermando che le baracche sarebbero state distrutte da un incendio e per questo motivo si era resa necessaria la bonifica di tutta l’area per evitare altri disastri. La Corte ovviamente non ha preso in considerazione tale versione.

Un verdetto certamente esemplare, ma è probabile che non abbia alcun seguito. Già in passato altre sentenze simili non sono state soddisfatte.

Nel centro della Nigeria gli scontri tra i pastori semi-nomadi musulmani e gli agricoltori residenti, per lo più cristiani, si fanno sempre più intensi. La desertificazione, la scarse piogge spingono i pastori fulani verso le zone più fertili al centro della ex colonia britannica.

I fulani sono di origini antiche. Si ipotizza che siano i discendenti di una popolazione preistorica del Sahara, immigrata in seguito nel Senegal, per poi spostarsi verso l’anno 1000 d.C. lungo le rive del fiume Niger, alla ricerca di nuovi pascoli per le loro mandrie. A loro si deve la diffusione della religione islamica nell’Africa occidentale. Vivono in un territorio che va dalle coste dell’Oceano Atlantico a quelle del Mar Rosso.

Loro stessi si chiamano con il nome “fulbe” (singolare pullo, infatti in francese sono conosciuti come poel), vocabolo che deriva dalla lingua fufulde che significa “nuovo”.

Nel passato i fulani e gli agricoltori vivevano in armonia. I primi, grazie alle loro mandrie, fertilizzavano i campi dei secondi e offrivano latte e carne. In cambio ricevevano grano e altri prodotti agricoli. Con il passare degli anni questa pacifica convivenza è venuta meno. Anzi, si è trasformata in guerra e questo anche a causa dei cambiamenti climatici, sviluppo e incremento delle aree coltivabili da una parte e l’aumento delle mandrie dall’altra.

Questo conflitto d’interessi ha portato a scontri importanti un po’ ovunque, non solo in Nigeria, ma anche in tutto il Sahel, con la differenza sostanziale che in nel colosso africano gli agricoltori sono per lo più di religione cristiana, mentre i fulani sono musulmani. Gli Stati più colpiti da questa faida sono: Benue, Taraba, Nasarawa e Plateau, che si trovano al centro della Confederazione nigeriana.

Da qualche anno esiste un progetto del Mercy Corp, finanziato dal British Department for International Development che consiste nel preparare i capi locali a sedare e a prevenire i conflitti tra le due comunità . Il programma prevede, oltre a migliorare le relazioni tra i contadini e i pastori nomadi, la creazione attività comuni, come l’allevamento di api e la produzione di miele, la coltivazione di cassava e riso, la costruzione di mercati comuni per la compravendita delle reciproche merci. Ovviamente non è stato possibile includere tutti nel progetto, ma coloro che hanno aderito, hanno capito che una collaborazione reciproca è più proficua che combattersi reciprocamente.

Molti analisti e Organizzazioni umanitarie sono convinti che il conflitto tra pastori nomadi e contadini sia stato molto trascurato negli ultimi anni dal governo centrale a causa dei continui attacchi dei sanguinari Boko Haram nel nord-est del Paese e anche per la recessione, dovuta al crollo del prezzo del petrolio.

Miliziani Boko Haram
Miliziani Boko Haram

I terroristi locali Boko Haram rendono ancora insicuro il nord-est della Nigeria; solo pochi giorni fa un kamikaze ha ucciso almeno nove civili a Maiduguri, il capoluogo del Borno State, mentre nel vicino Ciad sono morti otto militari, altri diciotto sono stati feriti, durante violenti scontri con terribili miliziani. Un portavoce delle forze armate ciadiane ha sostenuto che durante gli scontri sarebbero stati uccisi centosessantadue adepti della setta jihadista e che sei vetture e molte motociclette sarebbero state distrutte dai soldati.

Il soldati del Ciad fanno parte delle truppe interforze per combattere i Boko Haram. Il governo di N’Djamena ha minacciato domenica scorsa di ritirare i propri uomini da tutte le operazioni di pace in Africa, per la mancanza di finanziamenti da parte di Paesi stranieri. In Mali le truppe ciadiane sono le più numerose nel contesto della Missione multidimensionale integrata delle Nazioni Unite in Mali (MINUSMA): sono sul campo con millenovecento uomini.

Dal 2009 ad oggi i terroristi Boko Haram hanno ucciso oltre ventimila persone, più di due milioni hanno dovuto lasciare le loro case, cercando rifugio nei Paesi limitrofi o in campi per sfollati.

Ancora oggi la situazione in molte parti nel nord-est della Nigeria non è tranquilla. Le incursioni dei terroristi, anche se sporadiche, rendono insicure molte zone; eppure il Camerun continua ad espellere rifugiati nigeriani con la forza, malgrado Nigeria, Camerun e l’UNHCR avessero siglato un accordo all’inizio di marzo, nel quale è stato specificato: “Il ritorno dei rifugiati deve essere assolutamente volontario”.

Martedì notte sono stati portati oltre confine ottocentottantasette persone, per lo più minori, da soldati camerunensi su camion messi a disposizione dall’esercito nigeriano e dalla polizia di Yaounde. Il governo del Camerun ha affermato che si trattava di ritorni in patria assolutamente volontari. (http://www.africa-express.info/2017/03/22/motivi-di-sicurezza-il-governo-del-camerun-espelle-oltre-2500-rifugiati-nigeriani/).

Oltre ottantacinque mila nigeriani si sono rifugiati nel vicino Camerun a causa degli incessanti attacchi dei Boko Haram. Da gennaio ad oggi, undicimila di loro sono ritornati nel loro Paese. Difficile capire quanti siano stati forzati ad andarsene e quanti abbiano effettuato una scelta volontaria.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

 

 

 

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