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Il dittatore angolano nomina la figlia a capo della compagnia statale del petrolio

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Dar Es Salaam, 3 giugno 2016

Il presidente angolano Josè Eduardo dos Santos ha nominato la sua figlia maggiore, Isabel, capo delle compagnia statale del petrolio, Sonangol. Isabel è considerata la donna più ricca di tutta l’Africa, con un patrimonio di 3.5 miliardi di euro. Con un colpo da maestro, in aprile il padre ha fatto fuori tutto il consiglio d’amministrazione della società, quindi ha piazzato la figlia sul ponte di comando. Un altro leader marxista-leninista e combattente per la libertà si è trasformato in feroce dittatore. Per carità non è una metamorfosi recente. La sua dittatura, difesa da tutti i Paesi occidentali, è diventata sempre più dura con i dissidenti e ciò gli ha permesso di regnare per 36 anni. Nella classifica del tiranno più longevo, Dos Santos è battuto, ma solo per un mese, da un altro crudele e inumano suo collega, l’equatoguineano Teodoro Obiang.

Isabel Dos Santos ha una miriade di interessi in settori strategici: estrazione di diamanti, banche, editoria, telecomunicazioni. E non solo in Angola, ma anche in Portogallo, dove, tra l’altro è proprietaria del 7 per cento della Galp Energia.

Isabel Dos Santos

Il dittatore governa il suo Paese con pugno di ferro. I dissidenti dell’UNITA (Unione Nazionale per l’indipendenza Totale dell’Angola) sono stati annientati anni fa, subito dopo che il loro leader, Jonas Savimbi, nel 2002, fu stato assassinato in battaglia. In realtà fonti di intelligente sostengono che si trattò di una  congiura. I governativi erano stati avvisati della presenza di Savimbi in quellarea,’agli israeliani e dagli americani che non sopportavano un’Angola instabile dove le compagnie petrolifere e i commercianti di diamanti non potevano operare liberamente e senza quegli “inollerabili e costosi” vincoli e laccioli.

I resti di quella che era stata l’UNITA furono assorbiti nel governo e poi completamente annientati.

Grazie al petrolio e ai diamanti, l’Angola è diventata una terra strategica e cruciale per l’Occidente e per la Cina. Nei rapporti con l’ex colonia portoghese, la differenza tra i due è che il primo può contare su un’opinione pubblica, che talvolta riesce a frenare gli eccessi dei despoti e delle tirannie, la seconda agisce del tutto indisturbata, applicando un principio che piace molto ai dittatori africani: la non interferenza negli affari interni dei Paesi in cui si opera.

E così Isabel Dos Santos, la figlia prediletta del despota, incarna ora la dinastia Dos Santos. Ma la colpa della navigazione del governo verso un atteggiamento sempre più autoritario non è solo della “Casa regnante”. Assolutamente no. La metamorfosi è stata non solo tollerata, ma anche aiutata e incoraggiata dall’Occidente, Stati Uniti e Italia in prima linea.

La Chevron e l’Eni hanno interessi enormi in Angola. Infatti le visite ufficiali a Luanda sono piuttosto frequenti. Alcuni mesi fa è volato laggiù anche il primo ministro italiano Matteo Renzi con una delegazione di imprenditori tra cui i rappresentanti di fabbriche d’armi, come la Finmeccanica. Le manifestazioni di piazza contro il regime, rarissime in verità, sono tenute a bada da polizia ed esercito equipaggiati per lo più con armi italiane. E poi ci domandiamo perché la gente scappa da quagli inferni.

Eduardo Dos Santos

In Europa poi non arriva l’eco della fuga dal Paese di migliaia di persone. Senza lavoro, senza prospettive e vessati da una dittatura intollerante, le persone scappano verso la Namibia e il Sudafrica, i Paesi più ricchi dell’Africa australe con un’economia sviluppata, visti come le terre dove ci si può ricostruire una vita. La migrazione che si sta verificando da quelle parti con migliaia di disperati che cercano di spostarsi attraversando i confini, non ha nulla da invidiare a quelle bibliche qui da noi.

L’Angola, caso per altro frequente in Africa, è un Paese ricchissimo e poverissimo allo stesso tempo. Ciò vuol dire che c’è una élite di papaveri del governo e delle istituzioni che saccheggia le ricchezze de Paese, con la connivenza dei governi occidentali, e una miriadi di diseredati che vivono saccheggiando i cassonetti delle immondizie per rubare il cibo avanzato dai ristoranti e finito in pattumiera.

Con un comunicato diffuso del suo ufficio, Isabel Dos Santos ha promesso trasparenza nella Sonangol e di combattere la corruzione. Pochi ci credono: “E’ come affidare a un topo la credenza dove si tiene il formaggio”, ha commentato a Nairobi un diplomatico occidentale.

Naturalmente la figlia del dittatore ha sempre negato di aver accumulato la sua enorme ricchezza sfruttando la pozione privilegiata del padre o attraverso il saccheggio delle casse del suo Paese. Una posizione comune a tutti i rampolli dei dittatori africani.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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