Theresa, l’eroina che in Malawi sottrae le ragazzine ai matrimoni forzati

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UN Women Executive Director Phumzile Mlambo-Ngcuka meets with Chief Inkosi Kachindamoto from Malawi during the 60th session of the Commission on the Status of Women (CSW). Photo: UN Women/Ryan Brown

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 2 aprile 2016

Ce l’ha messa tutta e così, in Malawi, Theresa Kachindamoto è riuscita a mettere al bando le iniziazioni sessuali e in tre anni è riuscita ad evitare il matrimonio a ottocentocinquanta spose bambine.

Theresa è un capo tradizionale a Monkey Bay, nel distretto di Dezda, non lontano dal lago Malawi. Non ha voluto credere ai suoi occhi, quando gli altri capi del suo distretto sono venuti a Zomba, città nel sud del Malawi, dove per ben ventisette anni ha lavorato come segretaria nel college locale, per annunciare che è stata scelta come capo tradizionale supremo.  Lei, la più piccola di dodici figli e madre di cinque, non si sarebbe mai aspettata di diventare il capo di oltre centomila persone. Le è stato detto semplicemente: Sei stata scelta perché sei buona con le persone, non puoi rifiutarti”.

Theresa Kachindamoto, eletta capo tradizionale in Malawi

Una volta ricevuto i vestiti rossi, la fascetta per i capelli di pelle di leopardo e i gioielli tradizionali, ha iniziato a girare nel distretto, a visitare centinaia di capanne costruite con blocchetti di fango  e ricoperte con paglia intrecciata.

E’ rimasta sbalordita, scioccata quando ha visto bambine di dodici anni con il loro figlio in braccio e accanto il marito ancora adolescente. E immediatamente ha parlato con la sua gente: “Basta con questo genere di matrimoni. Che vi piaccia o meno, non ci si può sposare quando si è ancora bambini.

Secondo un rapporto dell’ONU del 2012 in Malawi la metà delle ragazze contraggono matrimoni quando non son ancora maggiorenni e la ex-colonia britannica occupa l’ottavo posto tra i venti Paesi con il tasso più elevato di “spose bambine”.  Questa consuetudine è dura a morire, specie nelle zone rurali: i genitori, spesso molto poveri, sono ansiosi di liberarsi delle figlie per avere una bocca in meno da sfamare. Fanno orecchie da mercante anche quando si cerca di spiegare ai parenti i pericoli ai quali va incontro una sposa bambina: malattie croniche causate da gravidanze e parti in tenera età. Le complicazioni durante il parto non mancano. Spesso è necessario intervenire con un taglio cesareo, perché il loro corpo non è sufficientemente sviluppato per dare alla luce un figlio.

Anche se lo scorso anno il Parlamento malawiano ha approvato una legge, che di fatto vieta i matrimoni ai minori, secondo il diritto consuetudinario delle autorità tradizionali e la Costituzione del Paese, i giovanissimi  possono sposarsi ugualmente con il consenso dei genitori.

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In giurisdizioni che non sono sotto il controllo di Theresa, i capi tradizionali e la polizia non possono intervenire in alcun modo a tali unioni per le violente reazioni delle comunità.

Poco prima del matrimonio, le future spose bambine vengono mandate nei campi per il kusasa fumbi, la cosiddetta purificazione, dove avvengono abusi sessuali di tutti generi. Le bambine apprendono come “dar piacere ad un uomo”. Negli appezzamenti di terra per l’iniziazione sessuale imparano come esibirsi in balli eccitanti e spesso  le più brave, sono costrette a veri e propri atti sessuali con il loro insegnante, altre, invece, tornano a casa senza essere state sfiorate,  per grande dispiacere dei genitori, perché significa affrontare un’altra spesa. Devono pagare “una iena locale”, cioè pagare un uomo della comunità, disposto a togliere la verginità alla figlia.

In un Paese dove un abitante su dieci è infettato dal virus HIV, questi vari “passaggi” sono fonte di infezione, perché raramente si fa uso di profilattici. A prescindere dai traumi psicologici che subiscono le ragazzine, questi riti di iniziazione possono essere una sentenza di morte precoce.

Secondo Theresa Katchindamoto, che ha interdetto tali pratiche, spesso ai riti di purificazione partecipano persino bambine di sette anni.

Mary Waya, una star della netball a livello internazionale, oggi allenatrice della squadra nazionale malawiana, soprannominata “The Queens”, da bambina anche lei è stata vittima di abusi. “Se la popolazione avesse una maggiore consapevolezza dell’infezione da HIV, sicuramente questa tradizione sarebbe già stata interrotta da tempo”, commenta.

Secondo il Fondo internazionale per l’infanzia dell’ONU (UNICEF), in Malawi una bambina su cinque e un maschio su sette sono vittime di abusi sessuali. La maggior parte di coloro che abusano dei bambini sono persone delle quali i piccoli si fidano: sono zii, patrigni o addirittura i loro padri.

Nankali Maksud, capo della protezione per i bambini di UNICEF Malawi, ha sottolineato: “Sono le persone che dovrebbero proteggere il minore, invece si trasformano in aguzzini e ciò aumenta la loro responsabilità.

Secondo un’organizzazione che ha chiesto di mantenere l’anonimato, alcune tradizioni locali promuovono addirittura gli abusi sessuali in famiglia. Se si ammala gravemente una sorella o una zia di una bambina, questa si deve occupare di tutto nella loro casa e in alcuni casi si pretende che faccia sesso con lo zio o il fratellastro.

Waya è riuscita a vincere il trauma grazie allo sport e lo studio, ma ha visto vittime di abusi sessuali provenienti da ogni parte del Paese nella sua accademia e ha precisato: “Ho incontrato ragazze che sono state violentate, poi mandate a prostituirsi per strada, hanno dovuto abbandonare la scuola, perché i genitori sono troppo poveri, oppure perché orfane e costrette ad occuparsi dei fratellini più piccoli”.

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La star del netball insegna alle ragazze a non vedere il proprio corpo non solo come  oggetto di piacere per terzi. “Hanno dimenticato quanto prezioso sia il loro corpo” –ha aggiunto.

Molti genitori non apprezzano che Theresa Kachindamoto faccia continuare gli studi alla propria figlia, per assicurarle così un futuro certo.

Realizzare che è più facile cambiare le leggi che la mentalità delle persone non è stato facile per Theresa.
Ma ha saputo reagire. Ha obbligato i suoi cinquanta vice-capi a firmare un accordo che vieta i matrimoni alle spose bambine secondo il diritto tradizionale e l’annullamento di qualsiasi unione già esistente nella sua giurisdizione.

Quando è venuta a conoscenza che tali matrimoni sono ancora stati contratti, ha buttato fuori quattro capi tradizionali maschi. Dopo alcuni mesi sono tornati da lei, assicurando che le unioni sono state annullate. Dopo un’accurata verifica, ha reinserito nel proprio ruolo i quattro capi tradizionali.

Ha chiesto anche la stretta collaborazione di religiosi, membri autorevoli delle comunità locali, organizzazioni caritatevoli, comitati locali, di bypassare le leggi locali e di accettare solamente la legge nazionale che vieta alle spose bambine di contrarre matrimonio.

“Non è stato facile convincere la gente, ma ora hanno capito” – ha aggiunto la Kachindamoto e ha proseguito: “L’anno scorso ho chiesto al Parlamento di aumentare l’età minima per il matrimonio da diciotto a ventun anni. E ho anche invitato tutte le donne del Parlamento a visitare le scuole rurali, incentivando le ragazze a studiare l’inglese, la lingua che si parla nel Parlamento. Se ricevono un’educazione appropriata, le giovani possono decidere della loro vita e fare ciò che desiderano. Ho ricevuto molte minacce di morte. Non è stato facile. Ma sono io il capo tradizionale supremo ora, non si può tornare indietro, lo sarò finchè vivrò.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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