Eritrea, fare affari d’oro con un dittatore sanguinario

Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
Milano, 14 febbraio 2016

Un reportage di Mark Kelley per la televisione canadese CBC, Canadian Brodcasting Corporation, la più importante rete pubblica del Paese, racconta come una piccola compagnia mineraria, anch’essa canadese, la Nevsun Resources Ltd, fa affari con il regime eritreo, quello che le classifiche specializzate mettono allo stesso livello di un’altra dittatura più conosciuta ma altrettanto sanguinaria, quella al potere nella Corea del Nord.

La Nevsun ha avuto la concessione di sfruttamento della miniera d’oro di Bisha, nell’ovest dell’Eritrea. Insieme al governo del piccolo Paese africano, la Nevsun ha fondato un’altra compagnia, la Bisha Mining, della quale detiene il sessanta per cento delle azioni, mentre la società statale Eritrean National Mining Corporation (ENAMCO) ha una partecipazione del quaranta per cento.

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Il reportage accusa senza mezzi termini la Nevsum di fornire con la sua attività un sostegno sostanziale alla dittatura, di cui sottolinea la continue violazioni dei diritti umani, calpestati quotidianamente dalla polizia segreta. Descrive poi, attraverso testimonianze e interviste, le pessime condizioni di lavoro dei minatori costretti a scavare sette giorni su sette senza interruzione. La collaborazione della società canadese con la dittatura si trasforma, di fatto, in un finanziamento alla repressione messa in atto dal regime eritreo.

Il governo della nostra ex-colonia ha rilasciato le concessioni alla Nevsun nel 2008; mentre la produzione è iniziata proprio nel febbraio di cinque anni fa e finora ha fruttato 700 milioni di dollari a un Paese ridotto sul lastrico da una politica repressiva, stile fascista, che caccia in galera i dissidenti, gli oppositori e i giornalisti e che continua ad acquistare armi anche dall’Italia.

Le miniere di Bisha sono ricche di oro, rame, argento e zinco, tutti i minerali sono di ottima qualità.

Il reportage di Kelly, tra l’altro, ha un alto valore giornalistico, quando mette sotto accusa lo stesso ambasciatore canadese in Eritrea che, dopo aver visitato la miniera, ne parla come di un progetto esemplare per efficienza che pone particolare attenzione alla tutela dell’ambiente e alle condizioni di lavoro dei minatori. Kelly chiede al diplomatico se ha chiesto al governo di visitare i dissidenti in carcere (di alcuni di loro non si sa più nulla dal 18 settembre 2001). “No – è la risposta – sarà per la prossima volta “.

Oltre a un dirigente della società mineraria, vengono intervistati, tra gli altri, due profondi conoscitori del Paese: l’italo inglese Michela Wrong, giornalista (è stata al Finacial Times e alla Reuters) e scrittrice, autrice di alcuni libri sull’Africa, tra cui un istruttivo testo sull’ex colonia italiana (“I Didn’t Do It for You”), e il canadese Matt Bryden, ex leader del gruppo di investigazione sul traffico d’armi in Somalia istituito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

I dirigenti della Nevsun difendono l’operato del dittatore Isaias Afeworki, negano categoricamente l’obbligo del servizio militare perenne, la totale mancanza di libertà di parola, le persecuzioni, le torture.  Una difesa scontata: sono venuti in Eritrea per fare affari, la violazione sistematica dei diritti umani è l’ultimo dei problemi.

Nel reportage sono riportate testimonianze e interviste a persone fuggite dal Paese. E’ stato loro chiesto perché sono scappate. Non è stata tralasciata nemmeno la questione del finanziamento eritreo ai gruppi terroristi somali, compresi gli Al Shabab, responsabili, di eccidi e massacri e, tra l’altro, dell’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi, nel settembre 2013.

Certo è che la società canadese ha scelto un partner commerciale eccezionale: uno dei dittatori peggiori al mondo. “Chi fa affari con lui – spiega Michela Wrong – deve assecondarlo senza porsi troppi problemi”. Un gioco delle parti perverso dove il business prende il sopravvento sull’etica, la morale, i morti, gli stupri e le torture. Le sofferenze della gente passano in secondo piano e chi scappa è un traditore pigro, che non ha voglia di lavorare e di fare sacrifici. Viene così declassato a semplice migrante economico.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter: @malberizzi

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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