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Stupri omicidi violenze di ogni genere: la vita delle donne in fuga dal Sud Sudan

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 31 dicembre 2015

“Mi chiamo Anna, provengo dal gruppo etnico Nuer. Sono dovuta scappare. Hanno ucciso mio marito e il mio figliastro. Mia figlia è stata stuprata davanti a me. Ora vivo in un campo per sfollati dell’ONU. Una mattina verso le nove sono arrivate le forze governative. Per prima cosa hanno cacciato via gli uomini. Noi donne, ingenuamente, abbiamo pensato che non avrebbero fatto del male a nessuno. Non possediamo nulla, di cosa avrebbero potuto derubarci? Dopo poco sono tornati i militari governativi e hanno picchiato noi donne, di fronte ai nostri bambini. Hanno bruciato la mia povera casa e stuprato mia figlia. Poi, accecate dal dolore, dalle lacrime, siamo scappate con i figli in cerca di protezione al campo dell’United Nations Mission in South Sudan (UNMISS). Se fossimo morte durante la fuga, forse sarebbe stato meglio”.

Sono in molti a cercare protezione nel campo Bentiu dell’UNMISS. La sua popolazione quest’anno è raddoppiata. Ora ci sono quasi centoventicinquemila persone; il cibo, l’acqua, le tende non bastano più per tutti.

Mary, invece, ha 24 anni, è mamma di due bimbi. Non sa se il marito sia vivo o morto. E’ tornata a casa, nel Sud Sudan, subito dopo l’indipendenza, con tante speranze nel cuore. Ma anche lei è dovuta scappare e rifugiarsi nel campo per sfollati. E’ stata violentata e picchiata quando si è spostata dal campo dell’ONU con altre donne per cercare legna.

“Non sapevo nulla degli stupri. Nessuno ne parlava. Solo ora, che sono iniziati i combattimenti ovunque, è di uso comune. Se si esce fuori dal campo, rapiscono le donne, le prendono, abusano di loro. Dopo uno stupro di massa, non si riesce più a stare in piedi, è come una lenta agonia, una sofferenza atroce. I soldati non usano armi da fuoco con noi donne, ma ci lasciano mezze morte, buttate per terra, soffocate dal dolore e con l’anima a pezzi”.

Il Sud Sudan è il più giovane Stato del pianeta. Infatti ha raggiunto l’indipendenza dal Sudan il 9 luglio 2011. Dal 15 dicembre 2013 si combatte una brutale guerra civile, causata da lotte di potere tra il presidente sud sudanese Salva Kiir – a capo del Paese dall’indipendenza –  e l’ex vicepresidente Riek Machar. Il primo appartiene al maggiore gruppo etnico, i dinka, mentre Machar è un nuer. Entrambi vorrebbero il controllo dei ricchi giacimenti petroliferi, ma la loro sete di potere ha ridotto la popolazione alla fame. Secondo alcuni analisti è uno dei conflitti interni più crudeli e ingestibili del continente.

L’Unione africana (UA) ha raccolto testimonianze e prove sufficienti che confermano gli abusi dei diritti umani nel Sud Sudan. L’UA afferma che civili sono stati stuprati, uccisi, talvolta anche smembrati ed è capitato che siano stati obbligati a bere sangue umano e persino costretti all’antropofagia.

Naturalmente il governo nega. Ateny Wek Ateny , portavoce del presidente Salva Kiir, si difende: “Sono tutte menzogne, storie inventate”. Tutte bugie, certo. Ma non le quasi diecimila persone uccise nei due anni di conflitto e gli oltre duemilioni di sfollati.

E’ nel terrore, nella paura che inizia questo nuovo anno per le donne del Sud Sudan, spesso senza un marito o un familiare accanto, che possa proteggerle. Per la comunità internazionale sono numeri, inserite nelle statistiche e niente più. Nessuno psicologo le seguirà mai. Il loro dolore resta nel profondo dell’anima, non c’è tempo per la sofferenza. Bisogna pensare a far crescere i figli, per lo più orfani di padre.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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