A Nairobi, dove si curano elefantini orfani vittime del bracconaggio

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Daphne Sheldrick con le figlie Angela e Gill. © The David Sheldrick Wildlife Trust

Dal Nostro Inviato Speciale
Sandro Pintus
Nairobi, 16 dicembre 2015

Simotua, un cucciolo di elefante salvato a 15 mesi, è una delle numerose vittime del bracconaggio. Orrendamente ferito alla testa con una lancia era riuscito a liberarsi da un laccio di fil di ferro stretto a una zampa che gli aveva lacerato la carne quasi fino all’osso.

Alla fine dello scorso giugno è stato trovato mentre vagava, ferito e debole, in cerca di cibo nei dintorni di una casa i cui abitanti hanno chiamato i veterinari. Trasportato urgentemente a Nairobi per le cure e la riabilitazione oggi sta bene, anche se i segni delle ferite sono evidenti.

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(Nel video, il salvataggio di Simotua. Courtesy David Sheldrick Wildlife Trust)

Simotua, 18 mesi dopo il suo salvataggio (foto © Sandro Pintus)
Simotua, 18 mesi dopo il suo salvataggio (foto © Sandro Pintus)

Il David Sheldrick Wildlife Trust si trova accanto al Nairobi National Park, nella capitale keniota, ed è uno dei luoghi più amati. Ospita l’Orphan’s Project, conosciuto come Orfanotrofio degli elefanti, un centro di accoglienza, recupero e riabilitazione per i cuccioli di elefante, provenienti da tutto il Kenya.

La sua origine à dovuta a due appassionati studiosi della fauna africana: David Sheldrick (deceduto nel 1977) e sua moglie Daphne, che nel 1976 crearono la struttura diventata il Centro di recupero odierno.

Attira turisti, studiosi e ricercatori da tutto il mondo ma anche numerose classi delle scuole keniote che vanno a visitare i cuccioli ospitati e conoscere il prezioso lavoro dell’orfanotrofio e i suoi studi sugli elefanti e i rinoceronti.

Gli elefantini sono una trentina ma il numero varia a seconda dei periodi e della frequenza dei cacciatori di frodo o degli infortuni. Molti dei cuccioli hanno perso la madre o addirittura tutta la famiglia, per mano dei trafficanti di avorio, vera piaga del continente africano.

Tra gli ospiti del centro ci sono anche vittime di infortuni, spesso cadute, all’interno di pozzi quando il branco va ad abbeverarsi. Come Ngila, che aveva solo 3 settimane quando è arrivato al Centro di riabilitazione.

Il piccolo era finito dentro un pozzo in un’area a 500 km a nord della capitale, luogo da cui ha preso il nome. Il suo branco, non riuscendo a salvarlo, lo ha dovuto lasciare. È stato trovato dagli abitanti di una comunità locale che portavano il bestiame all’abbeveraggio. Avvertite le autorità è partito da Nairobi l’aereo di soccorso con i veterinari che sono riusciti a estrarre l’elefantino dal pozzo. Era rimasto nell’acqua per circa 48 ore e si era ferito nel tentativo di liberarsi. Dopo le medicazioni il cucciolo è stato nutrito e portato in aereo alla nursery di Nairobi. Oggi sulla schiena gli sono rimaste le cicatrici.

Di Alamaya, un maschio di 14 mesi, invece non si conoscono le ragioni del suo abbandono. Si sa che è stato trovato vicino al Maasai Mara ed è sopravvissuto a un attacco delle iene, perdendo la coda.

Da sinistra, Alamaya sopravvissuto alla iene e le cicatrici di Ngila caduto dentro un pozzi a 3 mesi (foto © Sandro Pintus)
Da sinistra, Alamaya sopravvissuto alla iene e le cicatrici di Ngila caduto dentro un pozzo a 3 mesi (foto © Sandro Pintus)

L’ultimo cucciolo di elefante arrivato all’orfanotrofio del David Sheldrick Wildlife Trust si chiama Naseku, una femmina di 15 mesi. Anche lei vittima di una caduta dentro un pozzo a Namunyak una riserva naturale di quasi 400 mila ettari nel centro del Paese africano. Dopo aver passato una quindicina di ore intrappolata è stata trovata dagli scout della riserva che hanno avvisato i veterinari.

Naseku, spaventata ma salva, è stata trasportata a Nairobi. Viene curata e nutrita per poi tornare nel suo ambiente naturale in una delle numerose riserve del Kenya. Come è successo a Wendi, ex orfana ora in libertà, che ha avuto il suo primo cucciolo.

Ma il più piccolo degli orfani è una femmina che quando è stata trovata aveva un giorno di vita: Kamok. Era una neonata con il cordone ombelicale ancora fresco e non si reggeva sulle zampe. Si pensa che sia stata abbandonata perché nelle 24 ore dopo la nascita i piccoli devono percorrere 20 km con la madre e il branco e non ce l’avrebbe fatta perché troppo debole. Oggi ha 2 anni.

(1 – continua – I traumi psicologici del bracconaggio sui cuccioli di elefante orfani)

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com
twitter: @sand_pin

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